Il Sacco di Roma e le responsabilità della politica. Intervista a Paolo Berdini

Roma -

intervista a Paolo Berdini di Monica Pepe

"A rendere tale 'una città' era la possibilità che una persona aveva, confondendosi tra la folla, di nascondere le stranezze della sua testa" (da "La stranezza che ho nella testa", di Orhan Pamuk)


Paolo Berdini, parafrasando lo splendido libro di Pamuk, da quali stranezze è attraversata la città di Roma oggi?

Quella di chiudere gli occhi di fronte allo stato reale della città. In primo luogo la vicenda Mafia Capitale è stata derubricata a cronaca giudiziaria ma non si è avuto il coraggio di discutere con rigore sulle cause politiche ed economiche che hanno portato ad appaltare molte importanti funzioni pubbliche a cooperative legate alla malavita. In secondo luogo è scomparsa la sofferenza sociale di chi perde il lavoro, si trasferisce fuori Roma perché non ce la fa più a sostenere i costi della città, di chi non ha casa perché mancano quelle popolari ed è costretto a vivere nella tenaglia delle occupazioni e delle baracche. Infine è scomparsa la condizione delle periferie, abbandonate da decenni al loro destino di isolamento e emarginazione sociale.

La stranezza che vive Roma è la scomparsa della realtà.

Uomo di Renzi o del Nuovo Centro Destra secondo l'Espresso dello scorso dicembre, qual è l'impronta che Paolo Tronca vuole lasciare sulla città?

Il prefetto Tronca non è uomo di nessuno. È un servitore dello Stato che applica con la sua cultura il ruolo di governo della città che gli è stato affidato a causa del devastante fallimento delle politica. Ed è alla sua cultura che dobbiamo far risalire i fatti che iniziano a prendere corpo. Ripristinare la legalità sembra che significhi solo sgomberare le occupazioni ma non significa ancora mettere mano al sistema di allocazione delle risorse pubbliche senza alcuna trasparenza. In tal senso non viene affrontata la questione che considero prioritaria, quella di togliere la sine cura dei residence in cui vivono centinaia di famiglie. Spendiamo 25 milioni all’anno per finanziare la rendita immobiliare nelle mani di pochi proprietari e il prefetto Tronca inizia dalla coda e cioè da quello che ai suoi occhi è il più grande scandalo: occupazioni e famiglie a basso reddito che pagano canoni modesti per le case comunali. So bene che a volte questi affitti sono scandalosi, ma invece di puntare il dito contro la politica che non ha saputo intervenire, si addita all’opinione pubblica smarrita l’untore: i furbi del canone. Ripeto, il Comune spende 25 milioni per i residence ma fare i nomi dei proprietari che beneficiano di tanta ricchezza non rientra nella cultura del prefetto Tronca. Il problema non è lui ma il fallimento della politica che ha permesso questa involuzione democratica.

In che circostanze è accaduto che il Comune di Roma si trasformasse in Roma Capitale, qual è la differenza e cosa significa per i cittadini romani?

La commedia del cambio di nome da Roma a Roma Capitale è a mio giudizio l’atto più scellerato compiuto a Roma negli ultimi trenta anni. Centro destra da poco alla guida del Campidoglio con Alemanno e centro sinistra responsabile del tracollo economico del comune di Roma per averlo amministrato per 15 anni decidono di creare una bad company – il vecchio Comune di Roma – su cui riversare i 22 miliardi di deficit accumulati fino ad allora e creare una nuova creatura istituzionale inizialmente priva di debiti pregressi.

Con due conseguenze gravissime: il debito dovrà comunque essere ripagato mentre il “nuovo” comune Roma capitale ha iniziato subito ad accumulare debito perché non erano state affrontate le cause strutturali che provocano il tracollo economico. Insomma, centro destra e centro sinistra hanno compiuto nel silenzio un grave misfatto. Ed ancora più grave che il sindaco Marino e i suoi consiglieri politici presenti in Giunta non abbiano mai denunciato questo patto scellerato ma abbiano continuato ad accumulare debito senza bloccare la macchina perversa dell’espansione urbana, causa primaria del debito.

Come cambia la gestione del patrimonio pubblico della città di Roma dalla delibera di iniziativa popolare n. 26 del 1995 alla delibera 140/2014?

E’ innegabile che formalmente la delibera 140 approvata dalla giunta Marino avrebbe potuto rappresentare un punto di svolta nella gestione del patrimonio pubblico della città. Divisioni, miopie e ragionamenti di corto respiro sono alla base di un sostanziale fallimento di quella deliberazione.

Che rapporti intercorrono in questa fase tra Procura di Roma, Corte dei Conti, Patrimonio e Prefettura? Chi tiene il bandolo della matassa?

Questa domanda tocca il cuore della crisi di democrazia che stiamo vivendo. Durante gli anni della giunta Alemanno il sistema criminale di mafia capitale conquista le principali funzioni pubbliche della capitale e la cena che vede ritratto l’allora sindaco con Marroni, capogruppo dell’opposizione, e con l’attuale ministro Poletti la dicono lunga sull’esistenza di un accordo politico teso a consolidare lo svuotamento delle funzioni pubbliche. Ignazio Marino non si accorge di nulla ed è solo grazie alle denuncie dell’assessore all’Economia – poi cacciata proprio da Marino – che inizia un rapporto con la Procura della Repubblica, ma è innegabile che la politica non sia stata in grado di denunciare i mali che si annidavano nell’amministrazione. Del resto, è noto che il prefetto in carica all’epoca ricevette in tempi da record Buzzi su sollecitazione del sottosegretario di palazzo Chigi. Questa grave crisi istituzionale è stata svelata dalla Procura della Repubblica e il nuovo prefetto Gabrielli ha tentato di riportare la macchina pubblica ad una maggiore trasparenza. Ma il ripristino delle condizioni di legalità spettavano alla politica: non è riuscita a farlo ed ora paghiamo il prezzo di una totale assenza di dialettica sociale. Vengono compiuti sgomberi di occupazioni di persone senza casa come se fosse quello il vero problema dell’illegalità che soffoca Roma.

Il Sindaco Marino quindi ha dato il via agli sgomberi e Tronca prosegue: oltre alle occupazioni abitative circa 800 associazioni di promozione sociale, centri culturali e spazi autogestiti hanno ricevuto una lettera di "preavviso" di recupero crediti. È solo un'operazione di mercato o qualcuno vuole cancellare la storia della Roma solidale?

Credo che in questo caso ci sia davvero un disegno molto pericoloso. Esiste una rete di associazioni che riescono a sopravvivere soltanto perché spesso hanno occupato immobili abbandonati o hanno avuto l’assegnazioni di immobili pubblici ma non hanno i mezzi per pagare cifre di affitto di mercato. Questa rete di associazioni, qualsiasi sia il giudizio che ciascuno di noi può dare sul loro operato, hanno rappresentato e rappresentano un prezioso antidoto all’imbarbarimento sociale che vive la città.

E’ grave che il prefetto Tronca pensi di risolvere questo problema togliendo spazi di democrazia: la città intera ne avrebbe un contraccolpo devastante. Sarebbe più saggio ragionare sul problema vero, e cioè che non tutti – associazioni e una parte di famiglie in cerca di casa – possono pagare quanto chiede il mercato. Uno stato giusto deve farsi carico del problema con rigore e lungimiranza: i muscoli non servono per creare alloggi per chi non ha lavoro e per i giovani che conoscono solo la precarietà dei contratti di lavoro.

Dove nasce e dove è diretto il Documento Unico di Programmazione 2016-2018?

È uno dei primi frutti amari del patto scellerato della creazione della bad company del Comune di Roma di cui parlavamo. Nel decreto per Roma Capitale votato dal governo Renzi è infatti contenuto un piano di rientro economico che porterà la città al collasso. È infatti noto che Roma è già oggi la città che applica le più alte aliquote di tassazione locale e la restituzione del debito provocato dalla mala politica porterà ad un’ulteriore stretta economica e ad un nuovo taglio di servizi sociali: l’incredibile proposta di Tronca di privatizzare gli asili nido va proprio in questa direzione.

Occorre rimettere in discussione quel debito, altrimenti rischiamo una pericolosa involuzione della democrazia.

I Centri sociali intendono chiedere una moratoria su tutti gli sgomberi e il riconoscimento dell'uso civico degli spazi in cui svolgono da decenni attività politiche, culturali e di solidarietà nei confronti della cittadinanza. Cosa ne pensa?

La proposta è molto convincente. Dobbiamo rivendicare che le città sono fatte di persone che hanno bisogni e vogliono continuare ad avere un sostegno sociale e servizi pubblici che possono garantire la cittadinanza. La moratoria è un primo importante passo nel rivendicare una differente idea di città che faccia dell’accoglienza e della lotta alle disuguaglianze sociali il primo grande obiettivo. E a coloro che criticheranno questa concezione perché “non ci sono le risorse”, occorre ricordare che con la candidatura alle Olimpiadi del 2024 spenderemo almeno 10 miliardi di euro. Altro che non ci sono risorse: lo scontro vero è su chi ne beneficerà, se la città emarginata e le periferie o la società dominante rappresentata da Luca di Montezemolo e Giovanni Malagò.

(10 febbraio 2016)