Cent'anni fa, il futuro. Convegno sul sindaco Nathan a Roma

Roma -


di Sandro Medici
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I trasporti, la scuola, i diritti sociali: un secolo fa, gli stessi problemi  Di anni ne sono trascorsi ben cento. E cento sono proprio tanti. In politica, è un'era: da un inizio secolo all'altro. Eppure ad ascoltare gli interventi, le suggestioni, le argomentazioni, perfino le ricostruzioni storiche, che ieri mattina si sono snodati nella Casa dell'Architettura a Roma sembrava proprio di parlare del presente, di come questa città continui a rappresentare un problema capitale e di come sia possibile (e giusto) governarla meglio, aiutarla a liberarsi dai suoi cronici mali. Passione politica e tensione culturale sono stati i principali ingredienti che hanno animato il convegno "Ernesto Nathan 1913-2013, la storia e il futuro di Roma". Un'iniziativa nata dall'intuizione di un gruppo di intellettuali, spinti dal desiderio di riproporre l'esperienza di un grande e anomalo sindaco nell'imminenza della nuova stagione politica che si avvierà in primavera a Roma, sulle macerie dell'amministrazione della destra di Alemanno. Maria Immacolata Macioti ed Enrico Pugliese, Pierluigi Sullo e Vincenzo Naso, Antonello Sotgia e Roberto Musacchio, Vezio De Lucia e Anna Pizzo, Rossella Marchini e Roberto Magi, con il contributo di altri e altre, hanno voluto insomma rileggere un passato straordinariamente stimolante per sollecitare una riflessione che dovrebbe tratteggiare una prospettiva futura. Cercando di scuotere una discussione cittadina, in verità piuttosto modesta, se non direttamente manchevole e reticente. «Su Ernesto Nathan c'è stata una sistematica e colpevole rimozione», ha spiegato Valentino Parlato. Un sindaco ebreo, massone e molto mazziniano è stato imprigionato in una parentesi della storia, in una sorta di incidente eretico lungo una traiettoria costantemente connotata dalla subalternità alla rendita e dalla subordinazione al comando vaticano (più temporale che spirituale). Certo, con l'eccezione delle giunte rosse tra gli anni settanta e ottanta, con i sindaci Argan, Petroselli e Vetere, con la travolgenti attività dell'indimenticato Renato Nicolini: unica esperienza lungo quest'ultimo secolo che a più riprese ha saputo contrastare ed erodere il sistema di potere capitolino. Parlare di Nathan oggi, ha osservato Alessandro Portelli, è la dimostrazione di come la memoria storica si trasformi in battaglia politica, in conflitto sociale. C'è da impallidire dalla vergogna (come ha rilevato Clotilde Pontecorvo), se si paragona il programma di estensione del sistema scolastico comunale sviluppato da Nathan all'attacco alla scuola pubblica che negli ultimi tempi sta devastando il paese. Si resta allibiti di fronte all'intelligenza delle politiche urbanistiche di cent'anni fa, oggi che Roma è praticamente ostaggio di immobiliaristi e finanzieri, potentati politici e faccendieri d'ogni categoria. Le lungimiranti riforme sui servizi cittadini strategici per l'acqua, l'energia, i trasporti, ecc., attraverso la costituzione di aziende municipali, è desolatamente stridente con le scelte di alienazione e privatizzazione delle grandi società comunali, Acea in testa. Ed è forse proprio qui, in questa profonda differenza tra quanto avviato allora e quanto oggi deteriorato, il principale contrasto politico che si dovrà agire in vista della prossima battaglia elettorale per il Campidoglio. A Roma non si deve più edificare nulla, niente di niente («Bisogna tracciare una linea rossa invalicabile», ha affermato Vezio De Lucia): la città è finita , ha raggiunto il suo limite di sostenibilità. Le risorse pubbliche, il patrimonio pubblico, le stesse aziende comunali appartengono alla città e a essa vanno restituite, non possono essere vendute per compensare i tagli assassini imposti da governi nazionali e continentali. Basta con le grandi opere e si avvii un'estesa rigenerazione dei tessuti urbani, un recupero dell'edilizia vuota e abbandonata, che è una vera e propria riserva, indispensabile per corrispondere ai molteplici bisogni sociali e culturali. Nathan fu insomma il sindaco che introdusse a Roma la modernità, una modernità laica e democratica, quand'ancora l'eco delle spingarde a Porta Pia non s'era del tutto assopita. Una modernità che viaggiava con i primi embrioni di welfare («Per la prima volta si parlava di diritti sociali», ha spiegato Catia Papa), con i primi correttivi di democrazia diretta attraverso i referendum, con i primi progetti di gestione e razionalizzazione del trasporto pubblico («Arrivarono i tram, magari ce ne fossero oggi», ha evocato Enzo Naso). Una modernità che forse oggi potrebbe tradursi in bisogno di contemporaneità («O di complessità», come ha chiosato Lorenzo Romito). Un impulso alla trasformazione radicale del sistema-città: non più centrifugo, espansivo e consumistico, ma invece centripeto, rivolto al recupero e al riuso; non più giganteggiante e scioccamente competitivo con altre città, votato alla rincorsa a chi realizza il grattacielo più lungo, ma al contrario introflesso e teso al lavoro di cura di morfologie e territori, al rilancio di economie tenui e redistributive nella cultura, nei servizi sociali, n
ell'agricoltura. Insomma, per Roma non sarebbe male costruirsi un futuro di cent'anni fa.