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di Paolo Berdini mercoledì 6 marzo 2013

Prosegue imperterrito, nel sostanziale silenzio della politica di quasi tutti gli schieramenti, il modello di sviluppo che ha al centro indiscusso l'edilizia speculativa coi suoi “valori” del tutto artificiosi. Articoli di Paolo Berdini e Enzo Scandurra, il manifesto 6 marzo 2013

L'ultimo regalo alla speculazione
di Paolo Berdini
L'amministrazione Alemanno sta cercando disperatamente di far approvare dal consiglio comunale di Roma 62 deliberazioni in materia urbanistica. Decine di milioni di metri cubi di cemento che sfigureranno - se approvate - per sempre la città. Contro queste approvazioni è nato un forte movimento di opposizioni da parte di molte associazioni e comitati di quartiere che presiedono da molte settimane il consiglio comunale per scongiurare il disastro. Il clima contrario alle deliberazioni sta crescendo e quanto contenuto in una delle proposte che si vorrebbe imporre alla città ha la possibilità di creare un salutare scandalo, perché dimostra il verminaio che si nasconde dietro allo "sviluppo" di nuovi quartieri e - nel caso particolare - dimostra anche che la popolazione di Roma rischia di pagare a caro prezzo (250 mila metri cubi di cemento, Antonio Cederna avrebbe detto 2 hotel Hilton e mezzo) la crisi che attraversa il Monte dei Paschi di Siena.

La prima pietra

Iniziamo con ordine perché la vicenda inizia alla fine degli anni '80. Il piano regolatore di Roma destinava un'area di 14 ettari localizzata a nord, in via di casal Boccone a servizi privati: i proprietari potevano costruirci uffici privati. Il 4 dicembre 1993 il commissario governativo Aldo Camporota che guidava la città dopo l'azzeramento dovuto a Tangentopoli, autorizza la stipula della convenzione urbanistica. Il giorno successivo sarebbe entrato nei pieni poteri Francesco Rutelli. Non c'era gran fretta e sarebbe stato più giusto lasciare alla nuova amministrazione la decisione sul futuro della città, ma il Commissario straordinario decide diversamente. Il progetto sembra così entrare nella sua fase conclusiva. Nel 2005 viene sottoscritta la convenzione per costruire 220 mila metri cubi: 80 mila per uffici; 90 mila per commercio; 50 mila per un non meglio precisate "case albergo". Il promotore del progetto era la Imco, società che faceva parte attraverso Sinergia del gruppo Ligresti.

Anche il nuovo piano regolatore di Valter Veltroni approvato nel 2008 conferma le cubature previste dalla convenzione del 2005, ma la proprietà non si mette ancora in moto. È una questione decisiva ad impedire l'attuazione: l'area permette infatti di costruire uffici privati e la crisi immobiliare inizia a mietere vittime anche nella pregiata offerta di uffici nel centro di Roma, figuriamoci in quel lembo di estrema periferia circondato da campagna e con un'unica stradina di accesso.

E poi c'è la crisi del gruppo Ligresti che ha forti indebitamenti con il sistema creditizio italiano e in particolare con il Monte dei Paschi di Siena. Nel 2008 subentra nell'operazione immobiliare la Sansedoni srl (67% Fondazione, 21,8% MPS, 11,2% Unieco) che mette in piedi una nuova società e acquista tutto per 110 milioni più il debito pregresso al fine di recuperare il gigantesco credito con Ligresti. Ma la società controllata dal Monte dei Paschi comprende immediatamente che costruire uffici in periferia è un pessimo affare e bisogna ottenere a tutti i costi una variante urbanistica più favorevole alla proprietà. Elaborano un nuovo progetto e iniziano l'assedio al Campidoglio. E, miracolo, il sindaco Alemanno va in soccorso del Monte dei Paschi. Il 9 marzo del 2012 la Giunta comunale da lui presieduta approva la deliberazione n. 33 denominata «Approvazione del Programma di intervento urbanistico residenziale denominato casal Boccone».

Gli uffici scomparsi per incanto
Avete letto bene, si parla di intervento urbanistico residenziale. Gli uffici sono scomparsi come per incanto. La deliberazione di giunta è molto pudica nel merito: afferma soltanto che «la (nuova) proposta progettuale trae origine da un lato dalla diminuzione della domanda riferita all'edilizia privata non residenziale, dall'altro dalla necessità di una sempre più crescente domanda di abitazioni facenti parte di una cosiddetta "edilizia sociale"» L'amministrazione pubblica afferma senza pudore che visto che è diminuita la domanda di uffici privati, si straccia la precedente convenzione del 2005 e se ne stipula un'altra per la felicità della proprietà fondiaria. Le volumetrie ad uffici valevano poco, quasi nulla, quelle residenziali configurano un volume di vendita potenziale vicina ai 400 milioni di euro. Un bel regalo e l'ennesima gigantesca colata di cemento. L'urbanistica non esiste più: è la valorizzazione immobiliare a farla da padrona.

Subito dopo, la deliberazione di giunta n. 33 fa un ulteriore piccolo regalo alla proprietà, così da non fare la parte degli avari. Il regalo, per la verità, non è proprio di Alemanno, ma proviene dal piano regolatore di Veltroni che in un articolo finale delle norme stabilisce che tutte le cubature del vecchio piano si trasformano in superficie edificabile dividendole per un'altezza di 3, 20 metri, e cioè l'altezza di un'abitazione. Ma, come si ricorderà, nella convenzione del 2005 si potevano costruire 90 mila metri cubi di attività commerciali la cui altezza media, si pensi ad un supermercato, è molto di più di 3,20 metri. Insomma, l'articolo 108 delle norme è un meraviglioso regalo fatto ai tanti proprietari di volumetrie non residenziali del vecchio piano regolatore. Così la giunta Alemanno approva la costruzione di circa 69 mila metri cubi di edilizia residenziale. Si costruiranno - se non ci sarà un sussulto di sdegno- circa 250 mila metri cubi di residenze per una popolazione di 2.000 abitanti. Come se non bastassero i 140 mila alloggi vuoti oggi esistenti si da il via ad un altro scempio in aree paesaggisticamente pregiate. Monte dei Paschi diventerà felice: con i mattoni e con il cemento si ripiana il debito. E si può cambiare nome in Monte dei Pascoli di cemento.

Il volo del gabbiano sulla città corrotta
di Enzo Scandurra


Non so quand'è che a Roma, improvvisamente, sono arrivati i gabbiani. Nessuno se lo ricorda più nella città smemorata. Un turista di passaggio per la prima volta in questa città potrebbe, al ritorno nel suo paese, raccontare che a Roma gli uccelli più comuni e frequenti sono proprio loro: i gabbiani. In compenso questi grandi uccelli marini che ormai marcano i territori aerei che sovrastano le discariche, hanno sostituito una ben più nota specie di volatili che annunciavano l'arrivo della primavera romana: le rondini.

Rondini e storni hanno per anni sorvolato incontrastati i cieli romani; le prime sfrecciando ad alta velocità sui cieli della capitale e appollaiandosi nei sottotetti dei palazzi da dove spiccare nuovamente il loro temerario e gioioso volo; i secondi tracciando nel cielo fantastici e geometrici arabeschi alla luce del tramonto, lasciando senza fiato non solo i turisti, ma anche i pigri romani che pure da sempre praticano poco il sentimento dello stupore (anvedi 'oh). Le rondini sono ormai uno spettacolo raro. Come le lucciole di Pierpaolo Pasolini morte con l'avvento della modernità, esse sono diventate una specie in via di estinzione. Non perché minacciate da altre e più aggressive specie di uccelli, piuttosto per i cambiamenti dovuti all'intensificazione dell'attività agricola che ha fatto scomparire siepi, fossi, prati e canneti, luoghi a loro cari dove vivono insetti e altri piccoli animali di cui le rondini si cibavano. Colpa anche dei cambiamenti climatici che hanno modificato le loro traversate, fatto perdere loro l'antico orientamento, e perfino della ristrutturazione di casali agricoli nei cui vecchi tetti le rondini facevano nidi.

Uscito dal portone di casa molto presto una mattina, vidi uno spettacolo impressionante: in mezzo alla strada (una strada poco frequentata da auto) c'era un gabbiano che dritto sulle sue gambe mi guardava fisso. Ai suoi piedi giaceva un piccione morto. Mi sono allora ricordato di una ricerca fatta sul perché malgrado i piccioni siano così numerosi, mai se ne vedono esemplari morti in città. I risultati di quella ricerca sostenevano che i piccioni, quando giunge la loro ora, si sottraggono alla vista cercando luoghi nascosti per non essere attaccati dai predatori. Quel piccione, dunque, steso morto nel bel mezzo della strada, doveva essere stato assalito dal gabbiano che sovrastava sopra di lui con piglio spavaldo, perfino sprezzante della presenza degli umani. Ricordava, quella scena, il celebre film di Hitchcock quando uomini, donne e bambini diventano oggetto di aggressione e vittime innocenti degli uccelli urlanti impazziti. Perché ora i gabbiani non si limitano più a sorvolare i cieli della capitale; sostano nel prato nel bel mezzo di Piazza Venezia, si ergono a sentinelle nei punti più alti dei monumentali ruderi romani, si accampano sull'altare della Patria come in attesa di una loro rivincita, incattiviti dai cambiamenti climatici provocati dalla specie umana.

A me è sembrato un triste presagio: come se questa disgraziata città non fosse solo oggetto di scempio da parte di una amministrazione cialtrona, arrogante e incapace, come se non bastassero le sciagurate avventure urbanistiche che succhiano sangue dal suo corpo già ferito, come se non bastassero i regolari allagamenti di strade e reti fognanti ogni volta che piove, il livello assordante dei rumori del traffico impazzito a tutte le ore, lo sfrecciare pericoloso delle macchine blu sulle corsie riservate ai tram e ai taxi, le deroghe edilizie, i condoni, le compensazioni, le perequazioni, lo sfratto agli immigrati, il riconoscimento di cittadinanza negato ai gay, ai barboni, ai diversi di tutti i generi. Ora alle truppe di occupazione dei professionisti della politica che questa città nemmeno conoscono, vengono in soccorso quelli che un tempo erano nobili pennuti che, bianchi d'innocenza, sorvolavano i mari, come nella poesia di Vincenzo Cardarelli: «Non so dove i gabbiani abbiano il nido/ ove trovino pace./ Io son come loro/ in perpetuo volo./ La vita la sfioro/ com'essi l'acqua ad acciuffare il cibo/». Anche i nobili gabbiani si sono imbarbariti al contatto con questa città corrotta da una classe dirigente che non si merita; anziché sfiorare l'acqua ora i gabbiani sorvolano discariche in attesa che tutta la città vada in putrefazione.