Affitti in nero, la Corte costituzionale boccia le norme su emersione

Roma -

 

Una bocciatura che censura l’eccesso di delega da parte del governo nel confezionare una norma su richiesta del Parlamento che doveva occuparsi di federalismo fiscale. Ma che travolge uno dei capisaldi della cedolare secca sugli affitti che stabiliva che ai contratti non registrati si applica un canone annuo pari al triplo della rendita catastale, più adeguamento Istat

La Consulta cancella gli “sconti” previsti per gli affittuari che denunciavano contratti in nero e permettevano agli inquilini di registrare di propria iniziativa il contratto d’affitto presso un qualsiasi ufficio delle Entrate.

Una bocciatura che censura l’eccesso di delega da parte del governo nel confezionare una norma su richiesta del Parlamento che doveva occuparsi di federalismo fiscale. Ma che travolge uno dei capisaldi della cedolare secca sugli affitti (rientrata nell’informativa del premier Renzi): quella che stabiliva che ai contratti non registrati si applica un canone annuo pari al triplo della rendita catastale, più adeguamento Istat. Una somma, quindi, inferiore fino al 70-80% rispetto alle cifre di mercato.

Di fronte alle cause promosse da numerosi proprietari, diversi tribunali – Salerno, Palermo, Firenze, Genova, Roma – hanno rimesso la questione alla Corte Costituzionale. Nel mirino, alcune disposizioni del decreto legislativo 2011 sul federalismo fiscale municipale: nel dettaglio, i commi 8 e 9 dell’art. 3 sulla cedolare secca sugli affitti.

Questi due commi stabilivano durata (4 anni rinnovabili) e canone ridotto nei casi in cui il contratto non sia stato registrati entro i termini di legge, sia stato indicato un affitto inferiore a quello effettivo e sia stato registrato un contratto di comodato fittizio. La Corte Costituzionale li ha dichiarati illegittimi e, con la sentenza n. 50 depositata, redatta dal giudice Paolo Grossi, li ha cancellati. La causa è che le misure predisposte dal governo e contenute in quelle disposizioni, vanno oltre il perimetro fissato dal Parlamento nella legge delega, violando l’art. 76 della Costituzione.

La Consulta chiarisce che nel merito “la disciplina oggetto di censura” è “sotto numerosi profili ‘rivoluzionaria’ sul piano del sistema civilistico vigente“. Allo stesso tempo, però, “emerge con chiarezza” come quella disciplina “si presenti del tutto priva di ‘copertura’ da parte della legge di delegazione”.

Soddisfatta Confedilizia, promotrice di alcuni dei giudizi, secondo cui la norma “sanzionava in modo eccezionalmente pesante perfino il caso della registrazione di un contratto di locazione con un giorno di ritardo”. “La Consulta – commenta, il presidente della Confedilizia, Corrado Sforza Fogliani – presidia con fermezza i principi di certezza e correttezza del diritto anche con riguardo ai decreti legislativi, campo nel quale il legislatore ha negli ultimi tempi fatto, al pari che in certe leggi, incursioni demagogiche intollerabili. La Corte, in questa sentenza, tutela anche il principio della proporzionalità delle sanzioni al fatto sanzionato, sottolineando che la mera inosservanza del termine per la registrazione di un contratto di locazione non può legittimare addirittura una novazione quanto a canone e a durata”.