DAL CUORE DELL’UE L’ATTACCO POPOLARE ALLA RENDITA!

A Berlino si voterà per la confisca del patrimonio immobiliare sfitto, in Italia rilanciamo la campagna contro la rendita, il caro affitti e lo sviluppo dell’edilizia pubblica utilizzando il patrimonio tenuto sfitto dalle grandi proprietà.

Roma -

In concomitanza con l’appuntamento elettorale del 26 settembre, che vedrà votare oltre 60 milioni di tedeschi, si svolgerà un referendum consultivo (non vincolante), valido per la città di Berlino, sul tema del patrimonio sfitto riconducibile alle grandi proprietà immobiliari e dei meccanismi della rendita, i quali negli ultimi 10 anni hanno portato nella capitale tedesca il costo degli affitti (raddoppiati) e degli immobili alle stelle. Le firme raccolte hanno abbondantemente superato le 300 mila, anche se di queste poco più di 180 mila sono state validate (sulle 170 mila necessarie). Il quesito sostanzialmente ruota attorno al trasferimento (con indennizzi inferiori al prezzo di mercato) di oltre 240 mila abitazioni sfitte e/o inutilizzate da proprietà di grandi dimensioni (che ne posseggano più di 3 mila) all’ente pubblico AÖR che le offrirebbe alla domanda a prezzi calmierati. Un vero e proprio attacco, da parte dei promotori e delle centinaia di migliaia di berlinesi che hanno firmato, nei confronti della rendita parassitaria che punta in primis a offrire alloggi a prezzi sostenibili per la popolazione, in un contesto in cui il potere salariale e più alto rispetto a quanto si registra in Italia, ed in cui un’incidenza dell’affitto sul totale delle entrate di un nucleo familiare che superi una certa soglia (nelle principali metropoli italiane esistono stime che oscillano dal 30 al 40%) non è tollerato.

Al di la dei risvolti politici che un risultato positivo potrebbe avere, sempre secondo il tipo di compagine governativa che prenderà forma dopo il voto, vale la pena fare qualche considerazione, sia dal punto di vista economico che sociale, in risposta alle previsioni dei soliti esperti del settore i quali si affannano a spiegare come, nel caso di una vittoria delle posizioni più radicali e di un concreto passaggio degli immobili dal privato al pubblico, l’iniziativa privata sarebbe fortemente disincentivata e di quanto poco sostenibile sarebbe l’operazione dal  punto di vista della finanza pubblica.

È curioso come chi rappresenta gli interessi del grande capitale si preoccupi della salute della finanza pubblica ogni qual volta alla politica si presenta l’occasione di agire concretamente a supporto e favore degli interessi della maggior parte della popolazione, mentre per opere quali infrastrutture costosissime e di dubbia utilità, capaci di alimentare commesse e appalti da miliardi di euro, siano sempre ritenute dagli stessi in perfetta armonia coi bilanci delle pubbliche casse nonché necessarie allo sviluppo ed al benessere dei paesi.

Per quanto riguarda la cosiddetta iniziativa privata dei grandi gruppi costruttori, non si capisce come potrebbe essere disincentivata da un passaggio al pubblico di parte del proprio patrimonio, indennizzato tra l’altro, ma rimanga indisturbata da centinaia di migliaia di case vuote. O meglio si capisce se si osserva il fenomeno dal punto di vista della rendita e della speculazione. Che interesse ha un gruppo che possiede migliaia di case vuote a costruirne o acquistarne altre? Sembra che più che attrarre investimenti votati alla realizzazione di ciò che realmente serve alle città, intese come comunità di persone, il modello economico attuale sia basato esclusivamente sulla capacità dii attrazione di speculatori. Queste dinamiche, in atto da decenni, dovrebbero giustamente essere disincentivate dalla politica, specie sul tema abitativo (ricordiamo che la casa rimane un bene primario ed un diritto fondamentale di ogni essere umano).

 Il punto però non è se e come si realizzerà un’azione pubblica di questo tipo, ma ciò che emerge: nel cuore dell’Unione Europea, in una nazione a capitalismo avanzato e con una grossa quota di patrimonio pubblico sul totale dello stock abitativo, la domanda di abitazioni a prezzo calmierato non trova una risposta adeguata e la responsabilità è sia di chi ha speculato sul mattone che di chi lo ha consentito Altro avvenimento che testimonia questa tensione esistente nella società è la querelle sul tetto legale degli affitti, sempre a Berlino, conclusasi con la bocciatura da parte della Corte costituzionale tedesca motivata dal limite giurisdizionale del soggetto che aveva emanato la legge (materia federale). È da sottolineare che questo provvedimento si affiancava ad un’altra norma del tutto legittima, di carattere statale, che stabilisce criteri calmieranti nella determinazione dei canoni di locazione (freno-affitti). È evidente che questa misura da sola non è sufficiente e che il rapporto di forza fra proprietà ed inquilinato è sproporzionatamente a favore dei primi.

Senza voler azzardare troppi paragoni fra il nostro paese e la Germania, le quali presentano differenze non irrilevanti in ordine di norme e modelli, ad esempio dal punto di vista del tipo di offerta abitativa, edilizia sovvenzionata ed agevolata per la nostra ERP, alloggi sociali nel modello tedesco (vale la pena ricordare nel nostro ordinamento l’housing sociale, sempre menzionato e tirato in ballo da politici e media, non esiste se non marginalmente), vale la pena ricordare però come i meccanismi con cui la rendita aggredisce le nostre comunità siano gli stessi a tutte le latitudini e come le leggi che regolano gli affitti abbiano ormai fallito, a cominciare dalla nostra 431/98. Le grandi metropoli italiane sono un  caso eclatante: un’emergenza endemica, ormai strutturale, che coinvolge il tema abitativo a tutti i livelli, economico-gestionale, quantitativo, qualitativo, politico, sociale, urbanistico. I dati purtroppo non sono di facile lettura in quanto le stime dell’invenduto ed inutilizzato, ad esempio a Roma, oscillano fra le 110 mila e le 240 mila, e la composizione della proprietà che le detiene è dubbia. Chi si confronta con questo tema di ricerca, provando a fare chiarezza, trova le indagini catastali di grande difficoltà. Una cosa è certa, anche prendendo per buone le stime più basse, l’invenduto risulterebbe di molto superiore all’offerta di edilizia pubblica, sia in termini assoluti che percentuali. L’incidenza dei canoni di locazione sui salari, già in crisi da più di un decennio, è talmente alta da comprimere seriamente la capacità di spesa delle famiglie, con ripercussioni immediate e drastiche su consumi e risparmio, ma soprattutto comportando rinunce ad esempio a quel tipo di cure che il pubblico non garantisce in modo efficiente e rapido (ad esempio cure odontoiatriche, indagini diagnostiche etc…). Persino la piccola proprietà, la quale rappresenta le sue sofferenze indirizzandole tutte verso l’inquilinato impossibilitato a onorare i canoni di locazione, subisce gli effetti della voracità dei meccanismi della rendita e della speculazione finanziaria, nella fattispecie bancaria (ultimi dati per il 2019: 836 aste al giorno, due terzi per pignoramento). La legge 199 del 2008, recante misure urgenti per contenere il disagio abitativo di alcune categorie, la quale, a sostegno dei mutuari insolventi, prevede l’intervento degli enti gestori di patrimonio pubblico al fine dell’acquisto dell’immobile e della messa in locazione dello stesso, non viene applicata. Una norma senza coperture finanziarie adeguate, ma che con gli opportuni aggiustamenti garantirebbe la continuità abitativa di un nucleo in difficoltà economica, mediante il passaggio dallo status di proprietari a quello di affittuari, invertendo la tendenza che spinge alla proprietà e bloccando qualsiasi meccanismo di speculazione da parte degli avvoltoi delle aste.

In conclusione ed in attesa dell’esito del referendum di Berlino, continuiamo a denunciare come insufficienti le risorse messe sul tavolo dagli enti pubblici a tutti i livelli, dallo stato fino ai comuni, passando per le regioni, ad iniziare dall’assenza di interventi mirati ad attenuare l’emergenza abitativa presenti nel P.N.N.R., il quale prevede solo defiscalizzazione per gli interventi, è il caso di dirlo, “di facciata”, e incentivi all’acquisto per giovani coppie, spingendo ulteriormente verso forme di indebitamento

La soluzione all’emergenza ed alla crisi degli affitti, passa innanzitutto per l’abolizione della 431 del 1998, che ha avuto esiti disastrosi e va sostituita da una legge più equa che tenga conto delle nuove forme di speculazione ed abbia forti elementi calmieranti. Infine rimane imprescindibile un incremento significativo dell’offerta ERP, nel rispetto del principio del consumo di suolo zero, e dunque attraverso politiche di contrasto alla rendita ed ai suoi aspetti più insopportabili, come quello di lasciare migliaia di alloggi vuoti e migliaia di cittadini senza alloggi.

ASIA-USB