Diritto alla casa, il Piano non è una risposta all'emergenza
di Massimiliano Sfregola | 14 aprile 2014
Uno dei principali bersagli del corteo per il diritto alla casa di sabato scorso era il quinto comma dello sbandierato Piano Casa, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 28 marzo; da solo, e in appena due righe, il comma spiega a perfezione l’idea dell’esecutivo a proposito dell’emergenza abitativa: “Lotta all’occupazione abusiva di immobili: chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge.”
L’intero decreto, infatti, non produrrà effetti a breve termine per le migliaia di cittadini senza un tetto, come afferma Carlo Sforza Fogliani, presidente di Confedilizia che tuttavia plaude al provvedimento per il “segnale forte” lanciato nella lotta alle occupazioni abusive. E non importa se questo segnale vuol dire rottamare le Convenzioni Internazionali, ignorare la giurisprudenza della Corte Europea per i Diritti Umani, le risoluzioni di Strasburgo e la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Ue e fare poltiglia della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: la difesa della legalità (ma a geometria variabile) è ormai un metodo di governo consolidato. Negare l’allaccio alle utenze e il diritto di residenza, tra l’altro con effetto retroattivo, introduce una previsione “manifesto” che al fine di stigmatizzare le occupazioni finisce per violare in maniera barbara i diritti umani degli occupanti.
Il divieto di registrazione della residenza, inoltre, si traduce in un no deciso a qualunque tipo di contatto formale tra lo stato e gli occupanti (incluso l’accesso alla sanità, ai servizi sociali, al diritto di elettorato attivo e passivo). Se l’idea alla base del provvedimento era quella di risolvere l’emergenza, facendo sparire dal radar (e dalle statistiche) gli occupanti, si è certamente imboccata la strada giusta, anche se ciò significa scaricare integralmente l’emergenza sulle fasce più deboli. Tutta Europa è stritolata dal “binomio tossico” speculazione edilizia – carenza di alloggi a prezzi accessibili, ma gli effetti nefasti della crisi economica sono stati più evidenti in un Paese con un patrimonio immobiliare abitativo pubblico irrisorio come l’Italia.
Occupare edifici inutilizzati è per molte famiglie l’unica possibilità di garantirsi quantomeno una dimora di fortuna: se l’Italia avesse un sistema di alloggi popolari degno di un paese civile e l’accesso ai mutui non fosse totalmente in mano al mercato, probabilmente il fenomeno delle occupazioni non avrebbe assunto la portata che ha oggi. E facciamo finta di non sapere che il diritto all’abitare è ormai in tutto e per tutto annoverato tra i diritti umani: il boom delle occupazioni degli ultimi anni ha radici nella crisi economica e nella speculazione edilizia ma per qualche incomprensibile alchimia politica, le autorità scelgono di combattere duramente, e con effetto immediato, le soluzioni dei cittadini (per quanto illegali possano essere) lasciando le cause dell’emergenza a provvedimenti a lungo termine.
L’articolo 5 del Piano Casa, ignorando completamente il principio di “stato di necessità”, trasforma il diritto in spot elettorale facendo passare l’idea che esista qualche nesso tra la registrazione della residenza ed eventuali rivendicazioni sull’immobile oppure che la fornitura d’acqua, considerata dall‘Onu uno tra i diritti umani inviolabili, tra le quattro mura occupate possa in qualche modo mettere in discussione il diritto di proprietà. In nessuno dei due casi, il governo sembra essersi minimamente accorto che l’articolo 5, oltre a stracciare la Costituzione (art.2), la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e a voltare le spalle alle tante risoluzioni della Commissione per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa sulla questione abitativa, non sembra affatto in grado di poter produrre risultati significativi: d’altronde chi si assumerà la responsabilità nei confronti di singoli e dei nuclei familiari lasciati senza acqua, luce o servizi di base? Un conto sono le politiche abitative, condivisibili o meno, un altro è mettere consapevolmente a rischio l’incolumità di migliaia di cittadini, tra i quali bambini, anziani, disabili ed altre categorie vulnerabili. Questo nessun governo può farlo.