Dismissioni immobiliari a Roma:"La vittoria della caparbietà" degli inquilini resistenti

Roma -

24 dicembre 2012 - 

La sentenza del Consiglio di Stato del 30 novembre 2012 rinvigorisce le speranze degli inquilini, mettendo un freno ai piani degli enti privatizzati. Questi ultimi, infatti, si occupano di una materia delicata come la previdenza e ricevono degli sgravi fiscali che costituiscono, secondo la sentenza, un finanziamento indiretto alle loro casse. Dunque non sarebbero poi così privati, detto tra noi. Come conciliare, allora, la natura di alcuni fondi pensionistici (quali Enpam, Enpaia, Enasarco, oltre ad alcune Casse appartenenti a diversi ordini professionali), con la loro funzione inviolabilmente pubblica?

Il Consiglio di Stato ha stabilito che “(…)l’attrazione degli enti previdenziali – originari ricorrenti – nella sfera privatistica operata dal d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509, riguarda il regime della loro personalità giuridica, ma lascia ferma l’obbligatorietà dell’iscrizione e della contribuzione (art. 1 d.lgs. cit.); la natura di pubblico servizio(…)fa permanere il controllo della Corte dei conti sulla gestione per assicurarne la legalità e l’efficacia (art. 3). Inoltre, il finanziamento connesso con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali, insieme alla obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione, garantiti agli Enti previdenziali privatizzati dall’art. 1 comma 3 del predetto decreto legislativo, valgono a configurare un sistema di finanziamento pubblico, sia pure indiretto e mediato attraverso risorse comunque distolte dal cumulo di quelle destinate a fini generali”. Dunque gli Enti privatizzati devono essere considerati tali soltanto dal punto di vista giuridico, non nella loro attività che resta di natura pubblica. Ne consegue che le dismissioni del loro patrimonio immobiliare dovranno seguire un regime di vendita che è quello del pubblico settore, che comporta per gli inquilini un prezzo d’acquisto di molto inferiore rispetto a quello stimato. Gli enti, nella vendita, dovranno tener conto degli anni d’affitto che l’inquilino ha pagato, delle categorie svantaggiate come portatori d’handicap, pensionati, famiglie monoreddito. Inoltre, se le cose non cambieranno, non potranno più recapitare agli inquilini dei nuovi contratti d’affitto con aumenti arbitrari del canone, gonfiati ancor più dalla piaga degli arretrati. Provate a immaginare questa situazione: per la vostra bella casa nella periferia di Roma, pagate un canone mensile pari a 400 euro. Questo per via dei numerosi sgravi fiscali che lo Stato concede al vostro ente di fiducia e del finanziamento iniziale nella costruzione delle case, quando la natura del fondo in questione non viveva in una promiscua zona d’indifferenza tra pubblico e privato. Il vostro contratto d’affitto scade e il padrone non si fa sentire per un paio d’anni. Il canone resta invariato ma, nel frattempo, si trasforma in indennità di occupazione. Così quando l’ente ritiene opportuno regolarizzare la vostra situazione con un nuovo contratto, ecco che si presenta con un bell’adeguamento al costo della vita: un canone raddoppiato in maniera retroattiva, anche per i due in cui siete stati, vostro malgrado, degli occupanti e non più degli inquilini. Questo significa che da quel momento in poi pagherete 400 euro (iniziali) più 400 euro (aumento) più 400 euro (arretrati), per un totale di 1200 euro al mese. Alla faccia della funzione calmieratrice! Questa situazione, tuttavia, grazie alla sentenza del Consiglio di Stato potrebbe appartenere definitivamente al passato.

Investimenti come quello dell’Enasarco nel fondo Anthracite (per cui sono state spese parole poco lusinghiere, è stato definito infatti “un virus della finanza globale” ) non dovrebbero più essere permessi. Ci sentiamo in dovere di proporre la seguente interpretazione della sentenza del Consiglio di Stato: garantire affitti e vendite di beni immobili a prezzi calmierati è sicuramente in linea con la funzione pubblica degli enti privatizzati, investire 780 milioni di euro versati dai contribuenti in titoli tossici, invece, non lo è.

Angelo Fascetti dell’ASIA USB ha definito il risultato ottenuto “Una vittoria della nostra caparbietà”. Altri sindacati hanno preferito venire a patti con gli enti, l’ASIA invece ha seguito una politica del tutto diversa. Il sindacalista, però, ci tiene a mettere un freno ai facili entusiasmi, sottolineando come la questione non sia del tutto risolta : “Questi signori continuano a ignorare le leggi nonostante la sentenza. Ci stiamo organizzando per impugnare ogni atto che vada contro il fatto riconosciuto dalla sentenza che gli enti prevedenziali sono enti pubblici. Non accetteremo dismissioni immobiliari a prezzo speculativo, sfratti e caro degli affitti con conseguenti arretrati”. Una buona parte del merito di questo risultato, comunque, è da condividere con l’avvocato Vincenzo Perticaro che da tempo sostiene la tesi portata alla ribalta dal Consiglio di Stato.

Gli inquilini, almeno per il momento, possono dormire sonni tranquilli, eppure non troppo profondi perché sulla loro vicenda non è stata ancora scritta la parola fine.

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