"Finalmente in balcone, dopo 5 anni di reclusione!": l'atteso regalo al ragazzo disabile

ASIA-USB: grazie all'impegno degli attivisti del nostro sindacato abbiamo contribuito a regalare a Chiara momenti di speranza e felicità. Ora facciamo in modo che l'apertura di un varco per far accarezzare il vento e i raggi del sole al suo figlio, che ha 'scontato' cinque anni di 'reclusione' per la sua disabilità grave grazie all'indifferenza da parte di chi doveva dargli sostegno, sia solo il passaggio per avere assegnato un alloggio idoneo.

 

Roma -

Da anni non esce di casa, perché abita al 7° piano di una casa popolare e la sua carrozzina non entra in ascensore. Ma neanche in terrazzo, perché la portafinestra era troppo stretta. Ieri, il “dono” di una ditta edile: “In due ore hanno allargato la finestra e mio figlio ha sentito di nuovo il vento sulla pelle!”

31 luglio 2015
Da Redattore Sociale.

www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/488579/Finalmente-in-balcone-dopo-5-anni-di-reclusione-l-atteso-regalo-al-ragazzo-disabile

ROMA – “Oggi è un giorno importante: mio figlio è uscito in terrazzo a prendere una boccata d'aria e di sole”: sembra una notizia di poco conto, quasi una presa in giro, quella che ieri Chiara Bonanno voleva “urlare a tutto il mondo”, partendo da un post su Facebook. Ma per lei e per suo figlio, gravemente disabile, ha il sapore della magia, o del miracolo: “Erano cinque lunghissimi anni che non usciva dalla sua stanza – ci racconta – Murato vivo in una casa in cui non poteva neanche raggiungere il balcone, perché la portafinestra era troppo stretta per la sua carrozzina”. Ieri, finalmente, quella portafinestra  si è allargata, grazie all’impegno di Michelangelo e Stefano e due ore di lavoro volontario di Emanuele, che ha offerto gratuitamente la manodopera della sua ditta edile, “regalando finalmente a mio figlio il piacere del vento sulla pelle”. Un piacere semplice, che però a lui era negato da tempo, per via di una serie di complicazioni burocratiche e diritti mancati. 

L’ascensore troppo stretto, la portafinestra anche. “Abitiamo a Roma, al settimo piano di una casa popolare: l'ascensore era piccolo anche quando mio figlio stava meglio ma, smontando la carrozzina e rannicchiandogli le gambe riuscivamo ad usarlo – racconta Chiara - Poi Simone è cresciuto e con la crescita l'aggravamento: dopo un lungo ricovero sono finalmente riuscita a riportarlo a casa, pensavo che non sarebbe sopravvissuto a lungo. Così per due anni, con mio figlio ormai allettato, non ho avuto nemmeno il tempo per pensare che da quella stanza sarebbe mai potuto uscire. Poi per fortuna le sue condizioni, pur rimanendo gravissime, si sono stabilizzate ed allora ho cominciato a prendere consapevolezza che mio figlio da due anni non metteva il naso fuori: nemmeno in terrazzo, perché la sedia a rotelle non passava dalla portafinestra. Non parliamo dell'ascensore, in cui la sedia a rotelle ormai da adulto non entra proprio: le poche volte che ha dovuto fare una visita in ospedale, siamo stati costretti ad usare l'imbragatura dei barellieri dell'autoambulanza per farlo uscire di casa!”. 

 “Condannato all’isolamento come un criminale, ma senza processo”. Così, Chiara ha iniziato al sua battaglia. “ho iniziato a chiedere un cambio abitazione – racconta - A Roma non c'è modo di cambiare abitazione popolare se non attraverso un privato accordo tra due coinquilini. Ma ogni volta che trovavo qualcuno a pianoterra disposto a un cambio, intuita la mia estrema necessità, mi chiedeva una buonuscita sottobanco: soldi che io non avevo ne sarei mai riuscita a rimediare”. Così, sono passati gli anni e “mio figlio è rimasto murato vivo nella sua stanza, condannato all’isolamento come un criminale pericoloso, senza neppure aver subito un processo. Finché Michelangelo, del sindacato inquilini, si è affiancato alla mia battaglia: mi ha suggerito di cominciare a chiedere che almeno rendessero la casa dove vivevamo più accessibile. In questo ha coinvolto Stefano – continua Chiara - un collaboratore dell'assessorato ai servizi sociali, che mi ha supportato nell'iter burocratico. Ma la cosa andava per le lunghe, la spesa era troppo alta e le difficoltà enormi. Mentre io avrei voluto regalare a mio figlio il primo raggio di sole dopo anni per il suo compleanno, a metà del mese di luglio. Ma ormai avevo perso le speranze”. 

Il regalo di compleanno della ditta edile “volontaria”. A riaccenderle è stata la ditta dei fratelli Germani, che “ci ha fatto questo regalo prezioso: ieri in due ore hanno allargato la portafinestra quel tanto che bastava per far passare la carrozzina. E lo hanno fatto con una delicatezza unica, facendo di tutto per recare meno disagio a mio figlio, evitando il più possibile polvere e il rumore. Appena hanno finito, ho portato mio figlio in terrazzo: non gli è sembrato vero sentire il vento sulla pelle ed il sole scaldargli le gambe e le braccia. Perfino quel caldo, di cui oggi tutti si lamentano, per lui è stato un piacere! A me sembra ancora un sogno. Ci vuole così poco per rendere almeno un po’ più semplice la vita dei nostri figli. Eppure, quel poco è tanto difficile da ottenere”. Per questo, proprio Chiara è tra i promotori del ricorso che denuncia all'Onu le “gravi violazioni dei diritti umani delle persone con disabilità ed i loro famigliari caregiver da parte del governo italiano. Stiamo raccogliendo le adesioni e i contributi, per coprire le spese legali: manca poco, speriamo proprio di farcela! E colgo l’occasione per invitare tutti a condividere questa battaglia fondamentale per i diritti dei nostri figli. E per questo passo fondamentale verso la civiltà”. (cl)