Gli italiani nella morsa della crisi si prendono i palazzi lasciati vuoti
RITORNO ALLE OCCUPAZIONI
Da Repubblica inchieste (Articoli e video)
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IL CASO di CORRADO ZUNINO
Non più solo migranti. Da Nord a Sud tanti sfrattati e famiglie senza possibilità di pagare un mutuo si sono uniti per occupare le case vuote che che solo a Roma rappresentano circa l'8 per cento del patrimonio edilizio. Ed è proprio la capitale uno degli epicentri della protesta. Con un feneomeno del tutto nuovo eppure antico: appropriarsi di immobili per creare palestre e biblioteche
ROMA - "Occupiamo la città". Come nei Sessanta, come nella metà degli Anni Novanta. Nel centro e nella periferia di Roma, in tutta Napoli, alla Fiera di Messina. Negli stabili dismessi di Pisa e nell'hinterland di Milano. La crisi sociale il crescente contrasto tra i bisogni della popolazione (abitativi, professionali, sociali) e i palazzi vuoti a portata di quartiere hanno creato una nuova tensione verso l'occupazione: la presa di possesso di vani e uffici, pubblici e soprattutto privati.
Nelle metropoli italiane e pure in provincia vengono occupati gli appartamenti di edifici residenziali non ancora collocati e gli ospedali chiusi dalle Regioni. Per trovare una casa o costruire una palestra.
Il fenomeno è ampio, diffuso. E trova nel cortocircuito tra la finanza e l'edilizia uno dei motivi della sua prepotente ripresa. I palazzinari italiani continuano a costruire scempiando nuovi pezzi di territorio italiano, non riescono a vendere appartamenti nonostante i prezzi a tappeto eppure ottengono ancora fidi dalle banche che temono, con il crollo dei costruttori finanziati nelle ultime stagioni, di non veder rientrare i loro maxi-prestiti. Ecco, sotto "Ri-Okkupy Italia" c'è innanzitutto la disponibilità di un patrimonio edilizio vuoto mai visto in queste proporzioni: solo a Roma, capitale del fenomeno occupazioni, gli immobili privati a disposizione (cioè vuoti) sono 85.812, il 7,5 per cento del totale.
Ci sono tre motivi conseguenti e speculari che stimolano, poi, l'atto di confisca abusiva in queste stagioni depressive: la crescente difficoltà ad aver accesso a un appartamento popolare (l'Italia ha uno degli stock pubblici più esigui d'Europa, rispetto alla popolazione) e la nuova ondata di sfrattati per morosità. Gli sfratti emessi in Italia nel 2012 sono stati 70mila, l'83 per cento per morosità: gli inquilini impoveriti hanno smesso, improvvisamente, di pagare l'affitto. E i proprietari hanno chiamato il reparto celere. A fronte di un reddito reale delle famiglie in riduzione negli ultimi cinque anni, i canoni di affitto nelle metropoli sono cresciuti del 150 per cento: insostenibili. Il terzo motivo che sottende "Ri-Okkupy", su un piano parallelo ma distinto dall'emergenza abitativa, è il bisogno di spazi per fare sport e curarsi, studiare e prendere in prestito libri, suonare e provare monologhi. Con la contrazione dei servizi pubblici, fare tutto questo privatamente costa troppo e così fasce di esclusi si sono autorganizzate e hanno occupato (creando palestre a basso costo, consultori psicologici, sale di registrazione).
Nel nostro paese quasi un milione di famiglie vive in una casa popolare, 650 mila sono invece i nuclei in attesa di un alloggio, attesa che oscilla fra i tre e i quindici anni. Nell'ultimo quinquennio gli sfratti sono aumentati del 60 per cento e nell'ultima decade 250mila famiglie hanno lasciato casa a forza. I legittimi proprietari di un appartamento a volte vedono minacciato il possesso del proprio bene, ma da diverse stagioni le organizzazioni che gestiscono il fenomeno e gli sfrattati - gli storici comitati per la casa, i nuovi Blocchi precari metropolitani, la giovane Action e anche gli occupanti di destra alla Casa Pound - hanno scelto di puntare su strutture vuote da tempo, presumibilmente abbandonate. Sessantacinquemila sgombrati hanno dovuto lasciare casa, dicono al sindacato inquilini Sunia, per "morosità incolpevole": non hanno i soldi per pagare pigione o, in percentuali minori, non reggono la rata del mutuo istruita in anni più floridi. Dopo un lungo periodo in cui la pratica dello sfondamento abitativo era stata lasciata nelle mani degli immigrati, gli italiani sono tornati a occupare. "Ri-Okkupy 2013", ecco, si mostra sempre più come un movimento di necessità.
In Italia le prese abusive dei palazzi, soprattutto al Centro-Sud, esistono dal dopoguerra. Ma la risposta allo sfratto di massa in questi sei anni di crisi senza soluzione, l'okkupazione appunto, è cresciuta in tutte le metropoli italiane. Le occupazioni di scopo, invece, sono state guidate dai gruppi antagonisti, i celebri centri sociali che conoscono una nuova popolarità, dal rinnovato movimento studentesco, dagli artisti e le manovalanze culturali dei teatri che sotto privato rischiavano il crack. In Italia, nel 2013, si occupa anche per salvare il lavoro.
L'attenzione di commissariati e procure sul fenomeno è tornata alta. Per i due blitz romani siglati "Tsunami Tour", dicembre e aprile scorsi, ci sono già settanta indagati, fra cui il consigliere comunale della lista Arcobaleno Andrea Alzetta, fondatore di Action, pronto a ricandidarsi alle prossime comunali. Nei rapporti di carabinieri e Digos, ma anche nelle parole pubbliche dell'ex prefetto Achille Serra e dell'ex pm Antonio Marini (che istruì i processi Moro ter e quater e avvistò per primo la minaccia dei gruppi anarco-insurrezionalisti), la successione di occupazioni sta facendo un salto di qualità, superando il controllo dei gruppi di lotta per la casa e riannodando strategie da anni Settanta. "C'è una regia politica, dietro le occupazioni di massa. Anche così, ricordiamolo, nacque il terrorismo politico". La replica della sinistra radicale è stata corale: "Nessun fantasma, solo bisogni sociali, le occupazioni sono la nuova forma di politica abitativa di fronte all'assenza di politiche".
12 maggio 2013