IL FUTURO SI COSTRUISCE INSIEME? LETTERA APERTA AGLI STATI GENERALI DELLE COSTRUZIONI

Roma -

Da giorni nella nostra città e forse nel resto d'Italia campeggiano vistosi cartelloni che pubblicizzano la manifestazione nazionale  a Roma del 1° dicembre di Ance, sindacati confederali degli edili, artigiani, cooperative, Assoimmobiliare, Federcostruzioni e Confindustria. Anche le testate nazionali a grande tiratura si sono riempite di manchette che pubblicizzano l'evento. Probabilmente molti soldi  sono stati spesi e appare davvero un grande sforzo l'operazione messa in campo. Accattivante la proposta e affascinante l'immaginario che vorrebbe unire disagi tanto diversi, la necessità del lavoro con l'interesse degli imprenditori. La forzatura è tale che molte penne anche illustri ne stanno parlando.

Con queste righe vorremmo ragionare su un aspetto che dentro la mobilitazione scompare. La sofferenza nazionale derivante dall'emergenza abitativa e il rischio che si continui a consumare suolo, pensando che l'unica strada per uscire dalla crisi siano il mattone e il cemento. Quindi potrebbe andare bene tutto: grandi infrastrutture, eventi, opere e piani, basta che si esca dalla crisi e che si torni a fare profitti e rimettere in moto economie giudicate incapaci di produrre lavoro, attivare consumi, sostenere le imprese. E le banche diciamo noi.

Potrebbe apparire paradossale che proprio noi, che facciamo del diritto alla casa la nostra bandiera, dobbiamo mettere in guardia il paese. Potremmo essere interessati a costruire alloggi sull'agro romano, nei parchi, nei siti archeologici. Basta che arrivi un tetto per chi non ce l'ha. Eppure da tempo stiamo affermando un'altra cosa. Che è possibile fornire risposte usando ciò che esiste. Recuperando manufatti e aree dismesse appartenenti ad un'altra era, quella industriale. Trasformando le città partendo dalle necessità di che le abita e non da logiche parziali e pericolose, capaci di dare risposte immediate al settore edilizio ma pericolosamente devastanti per i territori. Le leggi regionali denominate “piani casa” si muovono in questa direzione. Del resto questa nuova valanga di cemento privato potrebbe anche seppellire definitivamente le aspettative ed i diritti, allargando ancora la bolla immobiliare ed i prezzi delle case, devastando i nostri territori, realizzando cantieri di sfruttamento e di morte.

È sconcertante che alcuni degli attori in campo non abbiano ragionato in questo senso e non colgano la necessità di un'inversione di rotta sul modo di produrre e di “costruire” il futuro. Occorre muoversi prima che sia troppo tardi e che i suoli vengano letteralmente strappati dalla sfera dei beni comuni e divengano nuova linfa per la rendita, occorre viaggiare veloci, remando però nella direzione opposta.

Questo paese per ripartire necessita di risorse pubbliche da orientare sul recupero urbano, sulla tutela del verde, dei servizi, della mobilità. Il sacrificio che i territori dovranno sopportare, se l'unico motore della ripresa diventa il cemento, sarà grande. Se per ripartire bisogna puntare sul circuito della Formula Uno a Roma, sul Tav, sul corridoio tirrenico, sul Ponte sullo Stretto, sull’Expo di Milano, sull'ampliamento smisurato dei premi di cubatura per chi abbatte e ricostruisce anche patrimonio pubblico come le caserme, non possiamo non essere preoccupati.

Nessuna luccicante vetrina cittadina fatta di grandi eventi potrà distoglierci dalla convinzione che dobbiamo puntare a un consumo di suolo pari a zero, a una sovranità sociale sui territori, a un censimento e al recupero di aree ed edifici non utilizzati anche privati, senza che per farlo si debbano subire compensazioni e sanatorie continue.

Se c'è la crisi, e la crisi c'è, le amministrazioni non possono essere ostaggio di possibili monetizzazioni dell'uso delle aree pubbliche o facilitare a dismisura le procedure edilizie in cambio di contributi straordinari. Il timone ci sembra ancora saldamente nelle mani di chi ha creato le condizioni di profonda crisi in cui ci troviamo, dove diritti e interessi sociali scompaiono, mentre avanzano alleanze che rischiano di rafforzare la rendita e i profitti legati alla speculazione edilizia. Chi evoca, manifestando congiuntamente ai costruttori, un nuovo “patto sociale” rischia di divenire complice di ciò che sta per avvenire collaborando alla sopravvivenza dei profitti di pochi ed allo stesso tempo alla caduta libera dei redditi, delle garanzie e dei diritti di tutti.

Chiediamo che insieme a noi si mobilitino tutte le coscienze e le forze che ancora non si vogliono arrendere al governo del mattone e della rendita, che ancora guardano ad un vero cambio di rotta.

Roma, 30 novembre 2010   

Movimenti per il diritto all'abitare