IL PIANO CASA SECONDO LUPI/RENZI. Sfrattati da casa e piombati nell'incubo: "Viviamo in un box, ridateci un tetto"
Il dramma di una famiglia di Cinisello Balsamo che abitava negli edifici Aler. La mamma è disperata: "Non mando più a scuola mio figlio di 11 anni, temo che me lo portino via"
di Rosario Palazzolo
Famiglia sfrattata a Cinisello Balsamo
Cinisello Balsamo, 19 marzo 2014 - Rifugiati in un box per necessità. Isolati dal resto del mondo per paura. L’emergenza casa per alcuni rischia di diventare elemento di disgregazione sociale, oltre che vera e propria emergenza igienico-sanitaria. Un caso emblematico è esploso nelle ultime settimane nel rione di Sant’Eusebio a Cinisello, dove la famiglia di Donatella e Hamadi ha subito lo sfratto per morosità dai palazzoni Aler di via Alberto Da Giussano. Dopo 8 anni, i genitori e i tre figli, di cui due maggiorenni, sono stati messi alla porta dall’ufficiale giudiziario per un debito di circa 8mila euro accumulato negli anni. Dal 19 febbraio scorso, quando i funzionari Aler e l’ufficiale giudiziario hanno eseguito lo sfratto, la famiglia vive in un box dello stesso condominio Aler. Un rifugio di fortuna per evitare di finire sulla strada, a dormire in cinque in un’auto.
Da quello stesso giorno, mamma Donatella ha smesso di mandare a scuola il figlio più piccolo, di 11 anni, perché teme che i servizi sociali possano portarglielo via. «Siamo stati in Comune per chiedere un aiuto – racconta la donna con tono rassegnato – Ci hanno risposto che per noi non c’è nulla da fare. Possono sistemare solamente il nostro bambino, separandolo da noi. Adesso abbiamo paura che i servizi sociali ce lo portino via. Così abbiamo preferito non mandarlo più a scuola». Un dramma economico rischia di trasformarsi in una tragedia sociale che si riverbererà anche sul futuro del più piccolo di famiglia, un bambino di 11 anni, tolto dalla sua classe, in prima media, per il timore di essere strappato alla famiglia. «Abbiamo chiesto aiuto ovunque ma tutti ci chiudono le porte – continua la donna – solamente alcuni vicini di cassa ci stanno sostenendo. Ci hanno dato la possibilità di dormire in un box. Ci stanno aiutando ad andare avanti, ma non possiamo resistere a lungo in queste condizioni».
La loro parabola discendente è cominciata poco più di due anni fa, quando prima il marito, un tunisino che vive da anni in Italia, e successivamente la stessa donna, hanno perso il posto di lavoro. «La prima cosa cui abbiamo dovuto rinunciare è il pagamento dell’affitto - spiega lei -. Poi abbiamo tagliato ogni cosa, ma senza l’aiuto e la comprensione delle istituzioni come facciamo ad uscirne? Ci serve che qualcuno ci dia fiducia e ci dia di nuovo una casa».
di Rosario Palazzolo