Immobili abbandonati, il giudice Maddalena: "Perché è legale espropriare senza indennizzo"
Di Gianmaria Roberti
Infuriano le polemiche per le delibere della giunta comunale di Napoli che prevedono il riutilizzo a fini sociali dei beni abbandonati. Parla il vicepresidente emerito della Consulta, teorico della proprietà collettiva e ispiratore dei provvedimenti
NAPOLI - Altro che espropri proletari e confische stile soviet, semmai sono principi-cardine della socialdemocrazia scandinava. A Napoli infuria la polemica sulle delibere della giunta comunale per il riutilizzo dei beni privati e pubblici abbandonati, senza indennizzo. E allora interviene Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Consulta e "padre" dei provvedimenti ispirati alla proprietà collettiva. "E' una stupidaggine parlare di legittimazione degli abusi - afferma il giurista-. Quanto deciso dalla giunta comunale è legalissimo. Dei beni abbandonati solo la collettività con suoi rappresentanti ne stabilisce l'uso. Le libere occupazioni, tanto evocate in questi giorni, sono contro legge e non c'entrano con l'argomento in questione".
Quale sarebbe il fondamento giuridico di questi provvedimenti?
L'articolo 42 della Costituzione, applicato in Italia per la prima volta dopo 66 anni, che dichiara la funzione sociale della proprietà. Un principio applicato, a differenza nostra, da popoli civili come gli svedesi e i danesi. Gli sprechi, con la crisi dilagante, sono intollerabili: ci sono immobili abbandonati appartenenti a persone che se ne disinteressano, mentre il popolo napoletano vive nei tuguri.
In effetti, in un paese dove la proprietà della casa è, o era, un dogma, queste parole suonano nuove
Nulla di nuovo, è tutto scritto nella Costituzione. Vede, il popolo cede ai singoli parte di territorio, che in origine è suo: ma se il singolo non lo utilizza, il popolo sovrano se lo riprende. Non si inventa niente: anche gli antichi romani, nella loro saggezza, stabilirono che le res nullius non esistevano, perché non potevano immaginare che ci fosse un bene che non appartiene a nessuno. E questo principio era accolto anche nello Statuto Albertino.
Come replica a chi accusa queste delibere di minare il principio della proprietà privata?
Io resto nel solco della Carta fondamentale: il diritto alla prima abitazione è garantito dalla Costituzione. Ma ci sono beni che soddisfano utilità personali e familiari, inviolabili, e altri che vanno ben oltre questi bisogni. La piccola proprietà è intoccabile, ma la grande proprietà deve giovare a tutti. Capannoni, fabbriche, immobili abbandonati non adibiti alla loro funzione.
Mi faccia un esempio pratico
Se un imprenditore delocalizza la fabbrica all'estero per guadagnare di più e poi vuole trasformare l'immobile in un albergo, è fuori dalla Costituzione. Ma in ogni caso, le delibere regolano una procedura che prevede una diffida al proprietario: se questo non risponde, allora il Comune farà in modo che i beni comincino a dare frutto. C'è gente che vive con 500 euro al mese e non possiamo permetterci questi sprechi.
Ma come definisce la proprietà collettiva?
In tema di proprietà, va operata una distinzione tra la proprietà comune o collettiva, che ha il suo fondamento nella sovranità, e la proprietà privata, che ha il suo fondamento nella legge. E in quest'ultimo caso va ricordato, secondo Costituzione, che se non c'è funzione sociale non c'è tutela giuridica, e non c'è quindi proprietà privata.
Ma al di là della Costituzione, nell'ordinamento italiano dove si trovano tracce di questo principio?
La funzione sociale è norma precettiva della Carta di immediata applicazione. Inoltre, c'è l'articolo 838 del Codice civile, il quale dispone che il terreno abbandonato è trasferito a chi vuole coltivarlo. Ma il Codice è stato scritto prima della Costituzione: tutte le norme antecedenti vanno lette alla luce dela Carta
Finora però la proprietà collettiva non ha trovato applicazione
Va ristabilito un equilibrio che negli ultimi decenni di storia italiana è stato tutto sbilanciato a favore della proprietà privata. Una tradizionale concezione borghese, rafforzata dal pensiero unico dominante del neoliberismo economico. La proprietà privata, come criterio di distribuzione delle ricchezze, non esiste: siamo 7 miliardi di persone, non tutti possono possedere un immobile. Abituiamoci alla proprietà collettiva.
Gianmaria Roberti