PERIFERIE. TORBELLAMONACA (RM): QUI VIVE JEEG
“Io qui esisto da prima di Tor Bella Monaca”. Seduta dietro la sua scrivania, nella sede di Asia Usb di via dell’Archeologia, Maria Vittoria si lascia andare a una risata divertita, mentre Che Guevara, Hugo Chavez e Anna Magnani la osservano dalle pareti. Scherza, ma non troppo, sulle sue origini di borgata.
“La mia famiglia abita a Torre Angela dagli anni ’50; qui, dove oggi sorgono le torri, c’erano i prati in cui venivo a giocare da bambina, tutto agro romano; mi ricordo che con mio nonno venivamo a prendere il formaggio ai casali di Vaselli”.
Un racconto che riecheggia quello che Celentano fa della milanese via Gluck, in una sua celebre canzone. Con la differenza, però, che lei da qui non se ne è mai andata e il quartiere l’ha visto crescere, con i suoi cumoli di “case su case, catrame e cemento”. E con le sue lotte. Anzi, soprattutto con quelle. Battaglie in cui si è ritrovata immersa molto presto, sulla scorta di esperienze personali poi travasate in rivendicazioni politiche. “Un caro amico dei miei genitori, che io chiamavo zio, si ritrovò a subire uno sfratto; lui e la sua famiglia sono stati sei mesi a casa nostra”.
Erano gli anni ’80, la prima metà. I palazzoni di Tor Bella Monaca erano già pronti ma le case popolari non venivano assegnate. “È li che è iniziata la lotta”, spiega, “e lui è stato tra i promotori di tutte le battaglie del quartiere; io mi ci sono ritrovata coinvolta in modo naturale”.
Esperienza dopo esperienza, impegno dopo impegno, il tema del diritto all’abitare ha assunto un’assoluta centralità nella vita di Maria Vittoria. Le storie incontrate lungo il percorso ne hanno modellato il pensiero e le convinzioni. “Finché non stai dentro il problema, ti lasci condizionare dai luoghi comuni, che dicono che le case non si occupano, che devono essere assegnate, che bisogna garantire la legalità; purtroppo, però, a un certo punto di rendi conto che la legalità è una cosa e la giustizia sociale è un'altra, e devi fare una scelta; io ho scelto la giustizia sociale”.
Contrappore in maniera così palese legalità e giustizia sociale è un’affermazione che fa effetto, è lei la prima a esserne consapevole ma non arretra. “Io non occupo casa perché non ne ho bisogno, ma se c’è un disgraziato che lo fa non è giusto colpevolizzarlo”.
Il problema è a monte ed è di sistema. “Non è normale che uno deve stare tutta la vita a pagare il mutuo o un affitto altissimo; dato che la casa è salario indiretto, bisogna dare la possibilità alle persone di vivere senza la paura di essere sfrattate da un momento all’altro o di vedere la propria abitazione finire in mano a una banca”. Tra gli imputati ci finisce inevitabilmente la politica. “A Roma ci sono migliaia di case vuote e non assegnate e ci sono anni di cattiva gestione del patrimonio pubblico, sia della destra che della sinistra”.
E poi ci sono anche le leggi che fanno della legalità formale il loro vessillo, come il decreto Renzi-Lupi. “Un abominio che ha reso impossibile richiedere la residenza e le utenze a chi occupa, così neanche gli enti proprietari delle abitazioni sanno bene chi ci sta dentro; volevano fermare le occupazioni invece hanno finito per alimentare l’illegalità e impedire il controllo del territorio”.
Le convinzioni di Maria Vittoria si nutrono di volti reali. Come quello di una ragazza che, dopo anni di attesa e nonostante un punteggio alto, ha visto sfumare il sogno dell’assegnazione della casa popolare perché la sua pratica è sparita nel nulla e dagli uffici competenti le hanno fatto sapere che avrebbe dovuto ricominciare l’iter da capo. “Sai cosa ha fatto? Ha occupato. Che le vai a dire? Tu Stato non mi tuteli, addirittura mi freghi, io occupo casa. Ma se una famiglia finisce in mezzo alla strada, cosa deve fare mentre aspetta che gli diano una casa popolare? Deve continuare a vivere sotto i ponti perché occupare è illegale?
Ma chi è illegale, la famiglia o lo Stato che la mette in questa condizione?”. Mentre parla, la voce di Maria Vittoria cambia tono, aumenta di volume, si scalda. “Io da questo punto di vista non ho più remore”, ribadisce, “lo dico tranquillamente, contro il perbenismo della gente: non si può permettere che una persona subisca i danni di un sistema che ti porta a fare anche atti illegali”.
Se lotta al sistema deve essere, però, c’è bisogno che la dimensione personale si saldi con quella di chi condivide la stessa situazione, diventando rivendicazione collettiva. “La tua azione di occupante è giustificata se non rimane un atto privato ma la fai diventare un atto politico; hai occupato, quindi hai fatto una cosa che non dovevi fare, perché hai un bisogno immediato, ma non puoi fermarti lì, devi dare a quel gesto la rilevanza di un diritto da conquistare; altrimenti alimenti solo una guerra tra poveri che fa il gioco di chi governa”. Nel ragionamento politico di Maria Vittoria, questo è lo snodo cruciale, il passaggio più complicato ma che regge in piedi tutto. Una posizione difficile da tenere ma che dà senso al suo lottare.
Maria Vittoria Molinari