Piano casa di Lupi: rischio caos in città
Approvato la scorsa settimana il decreto voluto dal ministro Lupi sull’emergenza abitativa in Italia, ieri i primi effetti in città: messa in strada dalla forza pubblica una famiglia con due bambini piccoli, nonostante il blocco degli sfratti promesso da sindaco e prefetto. Se applicato sulle 100 occupazioni porterebbe al caos
ALESSANDRIA - La prima famiglia “colpita” dagli effetti indiretti del piano casa voluto dal ministro Maurizio Lupi è quella di N.M., che con moglie e due bambini piccoli (uno dei quali di appena un anno) ieri è stato fatto uscire dalla casa in via Verneri dagli ufficiali giudiziari con l’aiuto di 4 carabinieri. La famiglia di “morosi incolpevoli”, così come vengono definiti coloro che si trovano a non poter pagare l’affitto con regolarità a causa della mancanza di lavoro e quindi di un reddito, iscritta da mesi nelle liste dell’emergenza abitativa del Comune per l’assegnazione di una casa popolare, è stata temporaneamente ospitata (a spese del Comune) presso l’Ostello di Santa Maria di Castello, una soluzione comunque di ripiego, trovata insieme agli operatori del Cissaca per tamponare l’emergenza ma che potrà durare al massimo qualche giorno. I dormitori gestiti dalla Caritas sono pieni e al momento non si prospettano altre soluzioni per garantire loro un tetto sotto il quale dormire.
Per la prima volta in città da molto tempo è intervenuta quindi la forza pubblica in presenza di bambini piccoli per portare a termine uno sfratto. Situazione eccezionale, se si tiene conto anche delle promesse fatte di fronte alla stampa (e con tanto di documento firmato e controfirmato) da sindaco e prefettura sul blocco degli sfratti previsti per il mese di maggio (ottenuto dopo l’occupazione simbolica della sede della Banca d’Italia da parte degli attivisti del movimento per la casa in città insieme a diverse famiglie sotto sfratto).
Secondo molti a fare la differenza è intervenuto nel frattempo il “decreto legge 47” varato dal Governo, un provvedimento approvato la scorsa settimana che, oltre a erogare fondi per l’Expo2015, fissa alcune importanti novità per la gestione dell’emergenza abitativa in Italia. Se da un lato è stato accolto positivamente dagli operatori il raddoppio del fondo nazionale per il sostegno agli affitti (passato da 50 a 100 milioni in totale, cifra comunque ritenuta ancora molto bassa rispetto alle reali necessità in un momento di crisi lavorativa così grande nel Paese), a spaventare gli addetti ai lavori è soprattutto il giro di vite previsto verso le occupazioni abitative compiute da chi, spesso disperato e con bambini piccoli, sceglie la via dell’occupazione pur di mantenere un tetto per sé e i propri figli. Il provvedimento in questo senso parla chiaro, fissando l’impossibilità assoluta per chi non ha un regolare contratto d’affitto di vedersi riconosciuti eventuali allacciamenti di utenze (luce, acqua, gas) e dà di fatto il via allo sgombero degli appartamenti occupati abusivamente. La scorsa settimana a Roma sono già state messe in strada decine di famiglie e l’impulso pare essere giunto a diverse prefetture, che si stanno attivando per procedere, in accordo con le questure, alla restituzione degli appartamenti ai legittimi proprietari con l’utilizzo, se necessario, della forza, anche in presenza di minori.
“L’effetto nelle città potrebbe essere devastante - segnalano alcuni operatori sociali - e la situazione potrebbe precipitare anche ad Alessandria. Se infatti sono almeno 100 le occupazioni abusive compiute da famiglie che non hanno al momento altri posti nei quali vivere, metterle semplicemente in strada costituirebbe un problema sociale, igienico e di pubblica sicurezza per tutti. Stiamo parlando di centinaia di persone che vagherebbero per Alessandria senza più un tetto, accampandosi verosimilmente in stazione o in altri spazi comuni. E l’effetto, su città più grandi, sarebbe ancora più grande, con letteralmente migliaia, e a volte decine di migliaia, di persone di colpo in strada”.
Nel piano varato con il decreto si individuato tempi e azioni che dovrebbero portare a una prima soluzione, ma lo scetticismo regna sovrano fra gli operatori, certi che i tempi indicati dal Ministero non potranno mai essere rispettati e che non esista in realtà la copertura economica per dar seguito ai provvedimenti annunciati. “In teoria le regioni avrebbero ora 30 giorni per fare un censimento di tutti gli stabili che potrebbero essere assegnati in emergenza abitativa nei diversi comuni e che sono fermi per la necessità di realizzare piccoli interventi di manutenzione” - spiegano per esempio gli operatori di San Benedetto al Porto. “Al di là del fatto che al momento la Regione non ha neppure una Giunta, e che non ci sono assolutamente i fondi necessari per realizzare questi interventi di ristrutturazione - come dimostrano i pesanti tagli ai sussidi girati ai comuni per gestire le emergenze abitative in questi anni - è assolutamente utopico pensare che un censimento di quel tipo possa essere fatto in quei tempi. La situazione è quella per cui il Comune di Alessandria e l’Atc faticano a censire e controllare le case vuote presenti in città, tanto che in più di un caso è stato chiesto ai potenziali assegnatari di organizzarsi autonomamente per andarsi a cercare eventuali alloggi vuoti. In più, prima di effettuare ripristini a norma di tutti i locali, considerando i tempi della burocrazia in Italia, è facile immaginare che potrebbero passare diversi anni. Il problema - spiegano dalla Comunità di San Benedetto - è poi quello di non fare alcune distinzione fra persone morose incolpevoli e chi occupa le case per altre ragioni. Così facendo, oltre a criminalizzare la povertà, si rischia di creare un problema enorme ai comuni, visto che le reti dei servizi sociali non potrebbero mai reggere la situazione che si verrebbe a creare se gli sgomberi venissero realizzati indiscriminatamente. Basta pensare a realtà come Roma, Milano o Genova, con migliaia di profughi che hanno trovato dove vivere in stabili occupati, interi palazzi. Se lì venissero staccate le utenze ci sarebbero enormi problemi anche di ordine igienico sanitario già a partire dal giorno dopo”.
Ancor più duro il commento dei ragazzi della Rete per la Casa del Laboratorio Sociale di via Piave, che spiegano: “questo decreto dichiara apertamente guerra alle reti per la casa. Si vuole fomentare una guerra fra poveri, fra assegnatari di abitazioni di edilizia popolare e persone che hanno occupato alloggi perché disperate. In realtà il vero scandalo sono gli spazi vuoti presenti in città, centinaia o migliaia di alloggi sfitti con le persone che vengono messe in strada. La soluzione va trovata con azioni d’emergenza, come quella di assegnare gli spazi e consentire alle persone - che lo chiedono da tempo - di provvedere con il proprio lavoro a risistemarli. A questo punto però vorremmo sapere chi comanda in città, se il sindaco, se il prefetto, se il questore. Abbiamo firmato un accordo di fronte alla stampa e invece sono stati eseguiti i primi sfratti, per di più con l’intervento delle Forze dell’Ordine di fronte a bambini piccoli. Certo non è possibile accettare una situazione di questo tipo e nelle prossime ore ragioneremo sul da farsi”.
Mauro Cattaneo, assessore al welfare del Comune, commenta: “serve sicuramente buon senso per gestire questa situazione e non possono essere semplicemente gli sfratti la soluzione al problema abitativo in città. Ci siamo dichiarati con la prefettura più volte disponibili a partecipare a un tavolo urgente che vagli diverse soluzioni, e anche recentemente lo abbiamo sollecitato, insieme alle altre realtà dei servizi sociali e del privato sociale che collaborano al tavolo sull’emergenza povertà in città. Stiamo lavorando su un elenco di immobili che potrebbero essere ristrutturati e assegnati, ma la situazione non è semplice perché le proprietà sono di diversi soggetti e le operazioni procedono molto a rilento”.
30/05/2014
Marco Madonia - marco.madonia@alessandrianews.it