Sfratti, le storie dietro l'allarme: così l'affitto diventa un miraggio
Ecco le vicende di chi ogni giorno chiede aiuto
BOLOGNA - «La crescita esponenziale degli sfratti ha raggiunto livelli che possono mettere a rischio la pace sociale». Così nell’omelia del Te Deum di fine anno il cardinale Carlo Caffarra ha lanciato l’allarme sulla casa, un tema che sta riemergendo con forza a Bologna e che gli stessi sindacati riconoscono come la piaga che affliggerà la città nel 2014. Un problema talmente serio da portare Comune e Prefettura ad affrontarlo allo stesso tavolo insieme ai sindacati degli inquilini e alle associazioni che rappresentano i proprietari degli immobili. Pochi mesi fu quindi firmato un protocollo che garantisce un aiuto economico a chi riceve lo sfratto. I sindacati degli inquilini, Sunia e Asia, sono in prima fila quotidianamente nell’affrontare un’emergenza che cresce anche a Bologna e toccano con mano le storie di chi lo sfratto l’ha già ricevuto e lo riceverà presto, perché non ce la fa a sostenere affitti troppo alti e ha contemporaneamente problemi lavorativi. «La situazione — spiega Federico Orlandini di Asia-Usb — sta diventando molto grave anche a Bologna, dove iniziamo a pagare politiche amministrative che hanno progressivamente destrutturato l’edilizia pubblica. Bisogna cambiare totalmente rotta e ricominciare a investire sulle case popolari». «Le famiglie non riescono a pagare l’affitto, perché perdono il lavoro — rileva Mauro Colombarini di Sunia-Cgil —, quindi ben venga il nuovo decreto del governo che stanzia 20 milioni di euro per aiutare chi si trova in situazioni di morosità incolpevole. È un buon segnale, ma la cifra è insufficiente e va implementata. E bisogna che le norme attuative del decreto vengano emanate al più presto, abbiamo fretta: mentre vi parlo ho davanti a me una giova madre con un figlio che andrà a dormire in un garage che ha preso in affitto, perché è rimasta senza lavoro e il costo di una casa non se lo può più permettere». «Devo mantenere quattro persone e non vedo via d'uscita» Non vuole che si scriva il suo nome per intero, D., perché sia mai che al lavoro lo riconoscono e poi perde pure quel po’ di soldi che arrivano a casa. Irregolarmente, quando l’azienda per cui lavora decide di pagarlo, magari una volta ogni due mesi, ma sono pur sempre le uniche risorse che entrano e che servono a far sopravvivere lui, la moglie (entrambi 36enni) e i tre figli di 4, 14 e 17 anni. «Viviamo in cinque in una casa di 60 metri quadrati in zona Mazzini per cui paghiamo 700 euro al mese — racconta D. — ma da qualche mese siamo irregolari nei pagamenti e allora la nostra proprietaria ha deciso di portarci in tribunale: il 13 gennaio c’è la sentenza per lo sfratto e vediamo se è disposta ad aiutarci». I problemi economici per la famiglia di D. sono iniziati nel 2001, in concomitanza con i primi problemi sul lavoro, ma la situazione è peggiorata gravemente, quando l’estate scorsa la moglie è stata licenziata. «Io il lavoro ce l’ho — racconta D. — ma mi pagano irregolarmente: siamo a inizio gennaio e devo ancora prendere lo stipendio di dicembre e devo avere soldi in arretrato dell’anno scorso». Morale: la proprietaria di casa al terzo mese di ritardo nei pagamenti li ha portati in tribunale. «E la beffa è che con le regole del Comune, avendo tre figli, dovrei avere una casa con la terza camera da letto che però non posso avere perché non ho tutti i requisiti necessari. E io con tre figli dove vado? Finora abbiamo vissuto in tre in 60 metri quadrati, secondo loro adesso è indispensabile vivere in una casa con tre stanze da letto? Di fatto le spese sono molte, mandare i figli a scuola non è a costo zero e non sappiamo più che fare. Quando la tua vita è condizionata dagli eventi esterni, c’è poco da fare, non ci sono vie d’uscita». «Io, sola con i miei due figli: tra poco mi mandano via» Laura ha 41 anni e due figli di 8 e 18 anni. Finché lei e il compagno stavano insieme, un piccolo aiuto economico lo aveva. Poi si sono separati, lei è rimasta sola con i figli avuti dalla precedente unione nella casa della Corticella, dove tutti i mesi paga 700 euro d’affitto, «pur essendo una casa che non rispetta affatto le normative e secondo me non sarebbe neppure abitabile», dice lei. Il 15 gennaio il suo sfratto diventerà esecutivo e per ora non ci sono margini, pare, per rimandarlo di qualche mese, giusto il tempo per farla entrare in una casa dell’Acer per cui avrebbe i requisiti, avendo due figli e avendo un lavoro non stabile. «Prima avevo un lavoro fisso — spiega Laura — poi l’ho perso e adesso ne ho ritrovato uno, ma il reddito è sempre molto basso e non riesco a mantenere l’appartamento e le relative spese. Ma io ho bisogno di una casa, dove vado con due figli? Il piccolo va a scuola e l’altro ha finito gli studi, ma è disoccupato». I requisiti per accedere alle case Acer pare ci siano, soprattutto perché Laura rientra nella categoria delle ragazze-madri, ma i tempi non coincidono. «Per la legge io il 15 gennaio devo lasciare quella casa e non ne ho un’altra: dove vado con i miei figli? Dovrò andare a dormire sotto i portici, alternative non ne ho. I miei parenti mi hanno aiutata finché hanno potuto, ma adesso nemmeno loro sono in grado di darmi una mano». Pare che trovare una casa per tre persone a prezzi più bassi a Bologna non sia affatto facile. «Le case a Bologna hanno prezzi davvero inaccessibili, basti pensare che pago 700 euro al mese in Corticella per una casa che non è affatto vivibile. È sconcertante come siamo costretti a vivere». «Dopo il ricongiungimento sono cominciati i problemi» Alle porte del Sunia e di Asia bussano ogni giorno decine e decine di stranieri che speravano di trovare a Bologna la risoluzione dei loro problemi e invece, dopo qualche anno in cui il lavoro sono riusciti a trovarlo e mantenerlo, adesso l’hanno perso e non riescono più, di conseguenza, a mantenere una casa e a rinnovare il permesso di soggiorno. Poi ci sono anche gli immigrati che sono qui da molti anni e hanno ormai un lavoro sicuro. Ma non basta più, soprattutto se nel frattempo sono riusciti a ricongiungersi con moglie e figli. Alejandro, peruviano, è uno di quelli. Ha 56 anni e lavora in una casa di riposo. È arrivato a Bologna 12 anni fa e da 11 vive in un appartamento in zona Corticella per cui paga 650 euro al mese. «Per ora non ho ricevuto alcuno sfratto, ma non so per quanto ancora il mio padrone di casa potrà sopportare i ritardi nei pagamenti: è già qualche mese che non ce la faccio a pagargli interamente l’affitto, gli pago solo quel che riesco». Perché poi ci sono le spese di conduzione della casa e quelle per mantenere i due figli di 19 e 26 anni che Alejandro qualche anno fa ha fatto arrivare dal Perù, ma che non trovano lavoro. «Quando ero solo con il mio stipendio riuscivo a sostenere l’affitto — spiega Alejandro —, ma da quando siamo in quattro, anche se mia moglia lavora, non ce la facciamo più a sostenere tutte le spese. Il nostro padrone di casa è stato sempre comprensivo, ma mi aspetto che fra poco mi dica di andare via, ma dove andiamo in quattro? È una situazione così difficile che faccio fatica solo a immaginarla». E la casa di Acer? «Mi sono iscritto alle graduatorie del Comune, ma mi han detto che i miei figli sono troppo grandi e che non ho diritto alla casa popolare». 03 gennaio 2014