Space Metropoliz e MAAM. Intervista a Giorgio De Finis

Roma -

 Antropologo di formazione, con un’identità multipla divisa tra ragioni estetiche e resistenza alla cultura omologante dell’uomo qualunque, Giorgio De Finis ha dato vita a Space Metropoliz e al MAAM, due progetti di grande impatto di cui sentiremo parlare sempre di più.

Giorgio, cosa è Space Metropoliz?

Lo abbiamo definito (io e il mio copilota Fabrizio Boni) “cantiere etnografico, cinematografico e d’arte”. Perché nasce per essere, ed è stato, molto di più di un film documentario. Direi che lo possiamo chiamare un esperimento, una provocazione, una sfida… il cinema era il cavallo di troia per entrare a Metropoliz e raccontare questa occupazione, interessante per tanti aspetti (non ultimo il fatto che si tratta della sola occupazione italiana inclusiva dei rom), e i suoi abitanti. Space Metropoliz nasce con l’intento di utilizzare il cinema come strumento di aggregazione, di progettazione e di trasformazione del territorio, e per contribuire alla rigenerazione socio-ambientale di questa fabbrica dismessa. Il cinema diventa un dispositivo per entrare nello spazio occupato e raccontare le storie, i sogni e le ambizioni di quanti hanno eletto la ex fabbrica a loro abitazione, ma è anche lo strumento per progettare e realizzare insieme agli abitanti della ex Fiorucci e del quartiere un nuovo spazio di convivenza. E quale migliore metafora, per realizzare questa “utopia”, se non la Luna, che i trattati internazionali definiscono “patrimonio comune dell’umanità dove sono bandite, oltre alle armi, qualunque forma di appropriazione nazionale o rivendicazione di sovranità, nonché l’esercizio della proprietà privata”? In quest’ottica, la Luna è il più vasto spazio pubblico presente nel sistema gravitazionale terrestre. Sulla Luna si ritrovano le cose perdute… noi ci abbiamo ritrovato anche tutte quelle vite che Bauman chiama “vite di scarto”. Costruire un razzo insieme agli abitanti di Metropoliz e partire alla volta della Luna, un foglio bianco dove immaginare insieme nuovi modalità dell’abitare e del vivere comunitario. Sulla Luna tutto è ancora possibile. L’intero processo, la progettazione del razzo e delle scenografie, e la loro effettiva costruzione, insieme agli interventi dei tantissimi artisti che hanno preso parte al progetto, costituiscono l’ossatura del film-documentario, che nella nostra intenzione avrebbe dovuto concludersi con un epilogo cinematografico d’essai: un vero e proprio remake della pellicola di Méliès, Voyage dans la Lune, in cui i Metropoliziani salgono a bordo del razzo e lasciano la Terra per approdare finalmente sulla Luna e gioire della ritrovata libertà (ciliegina a cui, per il momento abbiamo dovuto rinunciare, visto che questo intero anno di lavoro è stato realizzato con un contributo non superiore a 15 mila euro).

Ma forse ho corso troppo. Permettimi un flash back… su Metropoliz. Metropoliz è il nome che si è dato lo spazio occupato di via Prenestina 913, a Roma, dichiarando così la propria vocazione urbana. Vocazione sottolineata con enfasi ancora maggiore dall’espressione “città meticcia” che spesso l’accompagna, di cui l’occupazione si fregia e con cui si autorappresenta. Sono circa duecento gli abitanti che hanno fatto della fabbrica dismessa la loro casa, migranti e precari provenienti da molte regioni del mondo che nell’ex salumificio della Fiorucci stanno praticando una convivenza a cui molti guardano come ad un vero e proprio laboratorio. Metropoliz è uno spazio sottratto alla speculazione e alla rendita, fiore all’occhiello dei Blocchi Precari Metropolitani, movimento che nasce per contrastare la precarietà e rivendicare il “diritto all’abitare”. L’occupazione ha da poco compiuto tre anni. Ma li ha festeggiati in un clima mesto e pieno di incertezze, poche settimane dopo l’ennesima minaccia di sgombero. I cancelli si sono richiusi, il dialogo con la città, che si stava facendo sorprendente, si è interrotto. Ora siamo di nuovo al lavoro. A Metropoliz, con la scusa del film, sono passati filosofi, antropologi, astrofisici, artisti, architetti, astronauti, musicisti, danzatori, performer. Chi percorre oggi la via Prenestina non può non provare un senso di meraviglia scoprendo, in lontananza, appena dopo una curva, la torre della ex Fiorucci con l’immensa insegna azzurra dipinta da Hogre e sopra il telescopio fuori scala di bidoni di benzina realizzato da Gian Maria Tosatti con l’aiuto degli abitanti della fabbrica occupata.

Che cosa può insegnarci Metropoliz? Una cosa sicuramente, che occupare vuol dire, prima ancora che soddisfare un bisogno inalienabile dell’uomo, prendersi cura di un luogo, occuparsene, proteggerlo. E ci ha anche ricordato che la cultura, come diceva Hugo Pratt, deve andare oltre i meccanismi di funzionamento della società esistente, essere “immaginazione del diverso possibile, la garanzia di non scambiare l’esistente per l’eterno”.

Mi sembra di capire che, grazie ai tuoi studi antropologici, l’idea di fondo sia la convivenza di alterità. Ci spieghi?

Immagino che tu ti riferisca al fatto che ho chiamato il nuovo gioco MAAM, Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz_città meticcia, sottolineando che può esserci una comunità che possa darsi “calore” senza identificarsi per forza con un “noi”. Il Metropoliz ci può insegnare che si può stare insieme anche da “altri”, che ciascuno di noi è “altro”, gli artisti (ognuno con la propria poetica), gli abitanti, gli individuo, che poi in barba al termine sono sempre multipli. Il MAAM nasce come ideale prosecuzione di Space Metropoliz. Raggiunta la Luna, la città meticcia di fatto si colloca in un “outher space”. L’umanità metropoliziana, nel nuovo habitat esoplanetario, si va definendo comunità sui generis, sostituendo al “noi” il riconoscimento della radicale alterità di ciascuna cultura, gruppo o individuo. Nonostante la sua vocazione a farsi città, a rappresentarsi come “alternativa” alla città costituita (la città reale, inospitale, della speculazione e della rendita), Metropoliz, sulla Terra, rimane un presidio, un fortino, una enclave; il muro che cinge la città meticcia ne rappresenta il confine, il limes. Oltre il cancello del civico 913, al di qua o al di là (a seconda dei punti di vista), sunt leones.

Sulla Luna la differenza cessa di essere oggetto di esclusione per farsi definitivamente inclusiva. Non si è più diseguali ma ugualmente diversi (l’Arlecchino di Michel Serres, “multicolore”, “damascato”, “cangiante”, “tatuato”, ”zebrato”, “carta geografica”, alla fine si scopre Pierrot lunaire). Alla stregua del razzo di Space Metropoliz, il Museo nasce come un “contro-dipositivo” ludico e di creatività condivisa. Dotandosi di un nome altisonante, che subito lo pone accanto, e in concorrenza, con le grandi istituzioni museali italiane e della capitale (il MAXXI e il MACRO), fa della sua perifericità, della sua totale estraneità al mondo dell’economia e al sistema dell’arte, della sua mancanza di asetticità (il MAAM è contaminato dalla vita) i propri punti di forza. Il MAAM sarà la macchina che spinta al massimo regime trasformerà l’intera fabbrica in un oggetto e un soggetto d’arte collettiva.

Gli artisti saranno invitati a dare il loro contributo gratuitamente, un contributo che si rivelerà tanto più interessante quanto più saprà interagire con lo spazio e con gli abitanti. L’invito ad intervenire rivolto ai protagonisti del mondo dell’arte (che suonerà come una vera chiamata alle armi) avverrà per passaparola e con l’aiuto di associazioni, università, gallerie, curatori indipendenti, e di quanti altri vorranno aderire all’iniziativa. Avviando un nuovo virtuoso rapporto tra arte e città e tra arte e vita, il Metropoliz si doterà anche di una pelle preziosa, e di una collezione permanente, che l’aiuteranno a proteggersi dalla minaccia sempre incombente dello sgombero coatto. “District 913” sarà il film documentario che racconterà questa nuova avventura, fino all’arrivo delle ruspe o alla vittoria finale!

Hai parlato di Zygmut Bauman e del mondo liquido, vieni da esperienze con Stalker, che ha fatto della progettazione partecipata una cifra stilistica, tra architettura, territorio, arte e cultura, ci hai parlato di utopia. Può esistere, quindi, una “comunità sociale” gestita dalla semplice partecipazione di artisti, curatori, progettisti, e in che forma?

Tanto per evitare fraintendimenti (anche se è chiaro cosa mi stai chiedendo) iniziamo col dire che non credo che gli artisti (e tanto meno i curatori) debbano gestire alcunché; il Metropoliz si gestisce bene da solo. Noi possiamo trovare a Metropoliz un terreno fertile per tentare insieme alcune avventure: andare sulla Luna, per esempio, o trasformare l’intero ex-salumificio della Fiorucci in un immenso oggetto d’arte condivisa. Nient’altro.

Che ruolo hanno gli artisti e come mettono le loro ricerche al servizio del progetto?

Gli artisti giocano un ruolo importantissimo. Sono sempre più convinto che l’arte abbia una marcia in più nel far sì che le cose cambino. Nel farci guardare le cose con occhi nuovi. Nel farci amare le cose che abbiamo sotto al naso, come quelle lontanissime che ignoriamo alla maniera della volpe con l’uva. Nell’ambito di un gioco come quello di Space Metropoliz o del MAAM il singolo artista da la sua disponibilità, a titolo gratuito, e accetta, diciamo, le regole generali. Nel caso di Space Metropoliz si trattava di declinare, nel rispetto assoluto della propria poetica, il tema del viaggio spaziale e della migrazione esoplanetaria, il tema della Luna. Naturalmente ogni partecipazione ha aggiunto tasselli al mosaico complessivo, facendoci anche deviare dal percorso originario. Va detto che tra gli artisti includo anche chi organizza il gioco. Per questo abbiamo sentito la necessità di avere un nostro curatore, Silvia Litardi. Io non gioco mai da curatore, anche quando gioco al curatore.

Come ha reagito la comunità dei residenti e, diciamo, quella del quartiere nel quale si trova lo spazio?

Il progetto prevedeva il fallimento. Chiedere a persone che ogni giorno devono sbarcare il lunario di andare sulla Luna… pensavo che ci avrebbero cacciato via in malo modo. Invece il giorno in cui davanti all’assemblea (non una delle più affollate devo dire) abbiamo raccontato il nostro voyage dans la lune tutti hanno detto: ok, veniamo sulla Luna. Poi sono seguiti mesi faticosi… in cui ci siamo trovati a fare come Maometto che va alla montagna, chiedendo per i nostri incontri a tema lunare l’ospitalità alle singole famiglie, in modo da assicurarci almeno la presenza dei padroni di casa… Piano piano, però sono apparse le prime lune a Metropoliz, i bambini sempre più spesso ci fermavano per chiederci: “è vero che andiamo sulla Luna?”… La costruzione del grande telescopio fuori scala sulla torre del Metropoliz è stata la prova generale… il razzo si sarebbe potuto costruire. Alla fine dopo un anno di lavoro, con la partecipazione di oltre cento tra artisti, performer, musicisti, Metropoliz ha inaugurato il suo Big Rocket, con tanto di fuochi d’artificio… il suo orto lunare, la sua bandiera per l’allunaggio… Anche i Blocchi Precari Metropolitani, quando hanno capito che andare sulla Luna voleva dire non fuggire, ma trasformare il Metropoliz nella Luna, hanno sposato la causa… Oggi il sogno, la luna, l’immaginazione, l’arte sono di casa a Metropoliz. Il quartiere ha più volte varcato nel corso dell’anno la soglia del 913, per le inaugurazioni, i concerti… anche la Roma del centro conosce oggi Metropoliz… e tanti credo lo supportano.

Da Space Metropoliz e i suoi residenti al MAAM. Ma al di là dell’idea fantastica, come si fa, in un momento in cui gli spazi istituzionali collassano per carenza di finanziamento pubblico, a rendere sostenibili i tuoi progetti?

Partiamo col dire che le cose più interessanti che sono successe a Roma nel 2011 sono il Valle Occupato, Metropoliz, il Cinema Palazzo, Reload, l’iniziativa al Pigneto curata da Gian Maria Tosatti. Ho avuto il piacere di inventare a suo tempo la Festa dell’architettura di Roma e di occuparmene come “event manager” (la direzione artistica non poteva essere affidata a un non architetto!). Ebbene la Festa è stata realizzata con una somma ridicola (visto il programma, che ha coinvolto la Casa dell’Architettura, il MAXXI, il Macro, l’Auditorium… e altri cento luoghi in città, tra gallerie, istituti di cultura, università…): parlo di meno di 300 mila euro, la cifra che è stata spesa per il noleggio dei videoproiettori della mia installazione all’Expo di Shanghai. Ora immaginiamo di occupare l’Acquario Romano. Non credete che magicamente ci troveremmo tutti a discutere h 24 di città, arte e architettura a costo zero, con una straordinaria partecipazione di pubblico… Tutto questo non deve far riflettere?

Un modello alternativo e il crollo della credibilità istituzionale (come ha sottolineato Cristiana, puntuale  e acuta come sempre). Di fronte a questo scenario apocalittico (a me, in realtà, fa più pensare agli universi stralunati e sarcastici di Terry Gilliam), un modello come il tuo restituisce vita e speranza a una comunità civile. Come pensi che questo modello possa essere ripetibile?

Io spero che possa essere virale!

Il governo Monti ci sta mettendo a dura prova. Una parola, ce la devi, sulla questione del finanziamento pubblico in un momento delicato che vede il MIBAC commissariare se stesso (una roba da Groucho Marx - Non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci uno come me). Cosa sta succedendo?

Monti è il curatore fallimentare dell’Italia. Nominato non dagli italiani ma da coloro che hanno generato la crisi, i falliti fraudolenti. Non mi riferisco ai partiti, così nel pallone da essere ridicoli, ma alle banche e alle istituzioni finanziare (private) che decidono le politiche degli stati. Bisogna dire che la crisi che il sistema dello spettacolo ci racconta spaventando i cittadini meno consapevoli serve anche a dare un giro di vite a tante cose scomode o considerate poco utili (tipo la democrazia, i beni comuni, i diritti delle persone o la cultura). Bisognerebbe chiedersi, quando c’è la crisi, chi ci sta guadagnando… perché è sempre bene ricordare che se c’è qualcuno che si impoverisce e svende c’è sempre qualcun’altro che compra e si arricchisce. Per tornare alle “istituzioni della cultura”… oggi l’espressione sembra un ossimoro. La maggior parte delle cariche dirigenziali relative alle istituzioni del mondo della cultura sono politiche… Se è vero quello che ho detto prima, cioè che la cultura è tra quelle cose di cui, grazie alla crisi, si potrà fare a meno (la cultura non si mangia! no?) allora penso che sopravviveranno solo le istituzioni inutili… le più massificate, quelle che hanno abbracciato l’idea manageriale del fatturato… che porta a ricercare numeri sempre più alti di fruitori a discapito della reale produzione culturale… quelle forse otterranno ancora finanziamenti (non è così anche con i mutui o i prestiti, i soldi li ottiene solo chi già li ha).

Va detto comunque che la cultura, l’arte non si fa e non si è mai fatta nei musei.

Roma doveva munirsi, secondo i piani del Comune di Roma di un Centro per le Produzioni Giovanili (l’attuale Pelanda). Poi, si sono detti che forse era una bega, e hanno costruito l’ennesimo Museo. Tu, con i tuoi progetti, stai costruendo questo spazio con pochissime risorse e nella falsariga delle più interessanti esperienze europee. Quanto è importante per una città un luogo simile e quanto è necessario creare legami con una comunità internazionale?

Sì anche se non amo troppo le cose riservate agli “under” qualcosa. Dopo la maggiore età siamo tutti coetanei, contano solo le idee e la voglia di fare. I giovani sono in difficoltà. Anche gli altri… Conosco artisti che sono in difficoltà perché il sistema dell’arte li considera troppo vecchi, per promuoverli-sfruttarli; tutti quelli che si dedicano alla cultura, alla informazione, alla qualità, alla ricerca, al sociale, sono in difficoltà… almeno nel nostro paese. Quindi sono utilissime le sponde oltre confine, le occasioni di incontro. Metropoliz, nonostante la sua marginalità, perifericità, sta raccontando la sua storia anche approfittando delle grandi vetrine internazionali. Il progetto Space Metropoliz ha partecipato alla Biennale dello Spazio Pubblico, alla 54 Mostra Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, a FestArch, a FotoGrafia Festival Internazionale di Roma, a Uni(di)versité, a São Paulo Calling, e, per aver utilizzato l’arte “come strumento di comunicazione politica”, ha conseguito una nomination al Curry Stone Design Prize. “Partendo da uno spazio occupato a Roma – recita la motivazione – ha dato vita ad un progetto per gli immigrati come mezzo per rivendicare i diritti di cittadinanza ed invocare le possibilità di giustizia sociale per le comunità private dei diritti civili. Ha creato un racconto incredibile, parlando dei temi della città e della discriminazione in modo collaborativo, divertente e spontaneo”.

Esiste in voi apertura nei confronti delle proposte esterne e quali saranno i prossimi progetti?

Stiamo cercando di costruire la rete del MAAM, che è aperto a tutte le proposte interessanti che arriveranno. Per il momento ci sono il Museo dell’arte contemporanea italiana in esilio, il Laboratorio di arti civiche (LAC) dell’Università di Roma Tre, Love Difference (che abbiamo invitato a Metropoliz, con il tavolo del mediterraneo di Michelangelo Pistoletto), A.R.I.A. underground, M.U.Ro, il Museo Urban di Roma, Walls, Laszlo Biro, Mondo Bizzarro, Mondo Pop Gallery, Garage Zero, la -1 art gallery  della Casa dell’Architettura (la dirigo io!), Antipodi, Tor Sapienza in Arte… e tantissimi artisti e curatori indipendenti. Ora stiamo lavorando a trovare il modo di finanziare l’intervento site specific di Veronica Montanino alla ludoteca di Metropoliz, e anche sistemare il tetto. Nei giorni del mercato dell’arte contemporanea a Roma abbiamo organizzato un fuori fiera molto underground con le opere che ci siamo fatti donare dagli artisti amici, una iniziativa che si chiama L’ARTE AIUTA L’ARTE (MA NON SOLO). Le opere invendute saranno collocate nelle abitazioni di coloro che tra gli abitanti si diranno disposti a custodirle e a mostrarle agli eventuali visitatori interessati.

Squadra del cuore? Era una battuta… io dico sempre Lanerossi Vicenza (fa molto radical!)

Quella di calciotto del Metropoliz!