Spagna, negli anni di crisi 600mila sfratti. A Barcellona Podemos studia affitti sociali

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Secondo l'agenzia Moody's le regioni più colpite sono Andalusia, Catalunya e Comunità Valenciana, quelle dove in passato erano state costruite molte seconde case. Per far fronte all'emergenza sociale Ada Colau, appena eletta sindaco della seconda città del Paese, ha convocato gli amministratori delegati delle banche e pensa di introdurre sanzioni contro quelle che le lasciano vuote

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di Davide Tenconi | 8 giugno 2015

Duecento provvedimenti al giorno, per sette anni consecutivi, per un totale che arriva presto a 600mila. La bolla del mattone spagnolo è ben lontana dall’essere risolta. I numeri impietosi sono quelli degli sfratti, sia delle case abitate dalle famiglie del ceto medio­ basso sia dei locali adibiti a attività commerciali. E’ quanto emerge da uno studio dell’agenzia di rating americana Moody’s, realizzato sulla base dei dati presenti negli archivi del Consejo General del Poder Judicial e dell’Instituto Nacional de Estadística. Tre le regioni maggiormente colpite l’Andalusia guidata dalla socialista Susana Díaz,­ rieletta lo scorso febbraio ma ancora senza una maggioranza per i giochi di potere e veti incrociati che non le permettono di governare­, la ricca Catalunya di Artur Mas e la Comunità Valenciana. In tre assommano il 59% degli sfratti realizzati in sette anni: 121.279 nella regione più a Sud del Paese, 119.613 tra Barcellona e Province e 106.866 a Valencia.

Il motivo? Per Moody’s è molto semplice: sono le regioni che hanno sofferto di più la crescita come funghi di seconde abitazioni, molto spesso in località di villeggiatura. Si è costruito tanto, si è speso ancora di più, ci si è indebitati e poi la crisi subprime, in pochi mesi, ha mandato tutto in frantumi e lasciato sul lastrico centinaia di famiglie. Molte tra queste ipotecato anche la prima casa, con conseguenze ancor più tragiche. Si sono salvate le regioni del Nord. Da San Sebastian a Vigo il numero di sfratti è di quasi l’80% in meno. Non solo perché lì si è costruito meno che sulle coste del Mediterraneo, ma anche perché diversi istituti di credito hanno preferito trasformare, con il consenso dei proprietari, il possesso della casa in affitto, senza applicare le norme dello sfratto.

Durante la crisi ­- prima quella finanziaria, poi quella economica – ­si è sentito dire molte volte che “il peggio sembra essere alle spalle”. Il report di Moody’s non la smentisce: secondo lo studio, dal picco del 2012 ad oggi i provvedimenti sono diminuiti sensibilmente e il trend dovrebbe continuare anche per i prossimi trimestri. Ripresa dell’economia, creazione di nuovi posti di lavoro (sebbene in molti casi durino pochi mesi e siano privi di tutele) e nuovo accesso al credito permettono ­secondo l’agenzia di essere ottimisti.

Chi fatica a vedere il bicchiere mezzo pieno sono le famiglie che hanno perso la casa e la vedono abbandonata e in mano alle banche. A differenza degli istituti di credito del Nord, in Andalusia o in Catalunya si preferisce lasciare gli spazi vuoti in attesa della ripresa del mercato immobiliare. Il profitto, come sempre, prima di tutto. Ada Colau, appena eletta sindaco di Barcellona e appartenente alla lista civica sostenuta da Podemos, ha deciso di convocare pubblicamente gli amministratori delegati delle banche per dire basta agli sfratti e trasformare le case vuote in edifici ad affitto sociale. “Sarà difficile ma studieremo il meccanismo di sanzione per le banche che preferiscono lasciare le case vuote piuttosto che aiutare molte famiglie in difficoltà”, ha detto la futura alcaldesa della città Condal. Se ci riuscisse sarebbe davvero un cambio radicale.