TAR DEL LAZIO SMONTA LE TESI DI ROMA CAPITALE CHE HA ESCLUSO DALL’ASSEGNAZIONE CENTINAIA DI CITTADINI: IL DIRITTO ALLA CASA E’ RICONOSCIUTO DALLA COSTITUZIONE E NON E’ COMPRIMIBILE!

Roma -

Roma, il Tar del Lazio ha annullato, con sentenza n. 11407 pubblicata il 04/11/2020, la Determinazione Dirigenziale del Dipartimento Patrimonio Politiche Abitative del Comune di Roma che negava la regolarizzazione ad un inquilino perché nel 1973 risultava nel nucleo familiare del padre assegnatario di un alloggio E.r.p.

L’opposizione a questo atto è stata presentata dallo Studio Legale Grimaldi che ha ottenuto un’importante vittoria nella lite giudiziaria avverso Roma Capitale, Dipartimento Patrimonio e Politiche Abitative: ecco le colpe di chi a Roma dovrebbe garantire il Diritto alla Casa.

I fatti: Il Dipartimento Patrimonio e Politiche Abitative ha respinto, con una Determina Dirigenziale, un’istanza di regolarizzazione inoltrata da un inquilino di una casa popolare, secondo quanto previsto dalla legge 27/2006 della Regione Lazio. La motivazione che l’Ufficio Comunale adduce è sostanzialmente questa: l’inquilino avrebbe già goduto “di precedente assegnazione”, essendo stato il di lui padre assegnatario nel 1973 di altro alloggio Erp. A seguito di ricorso giudiziario inoltrato dallo Studio Legale Grimaldi il Tar ha accolto le ragioni dell’inquilino, bocciando l’assurda interpretazione del Dipartimento comunale ed affermando, scrivendolo nero su bianco sulle motivazioni della sentenza, che il Diritto ad una Abitazione non può essere “comprimibile” in quanto incluso dalla Corte Costituzionale “nel catalogo dei diritti inviolabili che l’Edilizia Residenziale Pubblica è diretta a garantire”.

Cominciano così a cadere tutti quei castelli di sabbia costruiti dagli Enti che gestiscono il patrimonio pubblico, e che, denunciati da anni da Asia-USB, si stanno rivelando semplicemente illegittimi, utili solo allo scopo di coprire la mancanza di Politiche Abitative attive, serie e lungimiranti.

Il Diritto alla Casa non può essere quindi inteso in senso restrittivo, e soprattutto, visti i centinaia di casi che negli anni sono occorsi, non può ritenersi soddisfatto a vita con un’assegnazione, tra l’altro risalente a decenni addietro, senza tenere conto dello sviluppo e del naturale evolversi di un nucleo familiare.

Ma non è solo questo il punto. Il sistematico smantellamento degli uffici, la carenza cronica di risorse ed investimenti, la mancanza di personale, il sistema che ha premiato quei dirigenti che negli anni hanno arbitrariamente negato un diritto costituzionale ed in cambio hanno ottenuto posizioni apicali, sono tutti elementi di un quadro grave che adesso deve mutare e deve farlo in fretta.

I responsabili dello scempio che si è consumato sulla pelle dei più bisognosi, ma anche di quei ceti che negli ultimi anni sono andati impoverendosi, devono pagare il conto, innanzitutto politicamente (e qui nessuno è escluso), poi in termini di carriera, ed infine in termini economici.

Ci chiediamo se donne come Nonna Pina, e le altre che si sono incatenate al Campidoglio nel febbraio dello scorso anno, non meritino, oltre al naturale riconoscimento del Diritto alla Casa, anche un risarcimento in termini economici per i danni subiti. Parliamo di persone cui è stata preclusa l’adesione al Bando Pubblico per l’Assegnazione di un alloggio perché considerate “occupanti”, in virtù di un cambio di residenza fatto negli anni Settanta o, in un altro caso, quando erano minori al seguito del proprio nucleo, come il caso di Roberta, sfrattata, madre di due figli esclusa sia dall’assegnazione del vecchio Bando quando aveva 10 punti (il massimo per avere un alloggio popolare), sia dalla graduatoria del nuovo bando perché a 13 anni era nel nucleo del padre che era accusato di avere fatto un cambio di alloggio non autorizzato (accusa dimostratasi infondata). Una propensione a cercare i cavilli per escludere le persone, “fine pena mai” senza senso ed in violazione del bando stesso, che consente ai nuclei che si devono costituire di andare in deroga alla Legge Regionale.

Considerando che questo criterio fallace è stato adottato non solo nella lavorazione delle domande di regolarizzazione, ma anche in quelle di subentro, di ampliamento del nucleo familiare, di rientro e nelle domande di adesione al bando stesso, quante migliaia di cittadini hanno visto un proprio diritto fondamentale violato? In quanti e quali termini può essere quantificato il danno economico e sociale apportato alla collettività, oltre che al singolo individuo? Sono quesiti legittimi che meriterebbero una riflessione ed un confronto fra le parti interessate e cui speriamo l’Amministrazione non si sottragga.

Comunque su un punto il Tar ha fatto chiarezza, mettendo la parola fine a qualsiasi interpretazione restrittiva della Legge che dovrebbe garantire il diritto alla casa. Nel farlo ha citato non solo la Corte Costituzionale, ma anche l’art. 34 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.

Accogliamo dunque con favore quanto scritto dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, ricordando che sono concetti che Asia-USB ribadisce da anni, e rilanciamo la questione abitativa ricordando al Governatore ed al Sindaco, così come ai rispettivi Assessori competenti, che per garantire il Diritto alla Casa, servono le case, di cui questa città tra l’altro è piena e una vera politica pubblica per l’abitare.

ASIA-ROMA