CASE POPOLARI? NO, PERCHE'? MEGLIO REGALARE SOLDI AI PRIVATI

Fasce sempre più larghe di cittadini schiacciate dal problema abitativo. La risposta: costose politiche tappabuchi. Viaggio in 6 città

Roma -

Liberazione 28 febbraio '09

 

di Daniele Nalbone

 

Tante parole. Promesse infinite e numeri da capogiro. Da Roma a Milano, da Torino a Padova passando per Genova e Brescia, l'emergenza abitativa fa parlare tutti e guadagnare i soliti. Ma di fatti concreti, alias case popolari, neanche l'ombra.
A Roma gli assessori alla Casa di Comune e Regione, Antoniozzi e Di Carlo, continuano a incontrarsi, a discutere, a sfornare cifre in euro e in migliaia di alloggi. Centrodestra e centrosinistra sono intenti a rimpallarsi le colpe su chi ha consegnato meno immobili alle famiglie in lista per l'assegnazione di alloggi popolari o più soldi ai privati con la creazione di sempre nuovi residence per bloccare "temporaneamente" l'emorragia di questa ferita che sta dilaniando il ceto più povero della città. Eppure ogni anno il Comune di Roma spende oltre 27 milioni di euro per questi centri di assistenza temporanea elargendo cifre a "sei zeri" a confraternite cattoliche e Srl partecipate da strane Spa. «L'Arciconfraternita S.Trifone, per esempio», denunciano Massimo Muccari e Marco Vacca di Asia "Tufello" RdB, «ringrazia per i 1.700 euro al mese pagati per l'affitto, la manutenzione e la sorveglianza di monolocali ricavati da una ex discoteca nella zona di Casal Lumbroso, ben oltre l'anello del Grande Raccordo Anulare, e che diventano bilocali solo spostando degli armadi o dei pannelli per creare nuove "stanze"». Qui non si possono nemmeno aprire le inferriate poste alle finestre: «in caso di incendio», racconta un inquilino, «ogni appartamento diventerebbe una trappola per topi». Per non parlare della S.Vitaliano 2003, una srl della Wolt Spa, che da un ufficio abbandonato nella zona di Tor Tre Teste riesce a guadagnare tre milioni di euro l'anno o della Immobiliare Pollenza 2005 che ottiene 3milioni e 585mila euro l'anno per 237 "spazi" che non possono nemmeno definirsi appartamenti in zona Aurelio. «Ma il vero capolavoro» continuano Muccari e Vacca «sono le nuove strutture: prezzi esorbitanti, da loft in pieno centro, per monolocali in zone più che periferiche»: un esempio per tutti sono gli oltre 4mila euro al mese pagati dal Comune per un bilocale nella periferia sud, in via Tovaglieri! «Se pensiamo che il sistema dei "centri di assistenza temporanea" va avanti, come nel caso del residence di Valcannuta, da oltre venti anni possiamo solo immaginare quanti alloggi popolari si sarebbero potuti costruire in questi anni e con tutti i soldi elargiti a chiesa e privati». Eppure a Roma nell'ultimo decennio si è costruito a ritmi vertiginosi, "da dopoguerra", quando la città cresceva di 50 mila abitanti l'anno. «Ma oggi la popolazione non cresce più» spiegano i Movimenti di lotta per la casa. «Si è costruito tanto in ossequio alla cultura liberista: cancellando le regole e affidando al "mercato" la soluzione di ogni problema, si sarebbe risolto anche quello abitativo. Ma ora si scopre che in città c'è "emergenza", che molte famiglie non hanno casa perché i prezzi degli immobili sono elevatissimi; perché il mercato dell'affitto è molto modesto e si attesta comunque su valori impossibili per la grande maggioranza dei nuclei e dei giovani». E la risposta qual è? «Perpetuare il meccanismo che ha fallito, affidando ai privati la realizzazione di 25 mila alloggi su aree agricole in modo da ricavarne una piccola percentuale da destinare ad "housing sociale" ma non ad alloggi popolari». 
Chi pensa che l'emergenza casa riguardi solo la Capitale, nell'immaginario di tutti ostaggio dei cosiddetti "palazzinari", si sbaglia di grosso: la mattina del 23 febbraio a Milano, in via Gola, nel quartiere Ticinese, quattro blindati della polizia e quaranta agenti del reparto celere in tenuta antisomossa sono stati impegnati in una fondamentale operazione di….sfratto di una famiglia con sei minori a carico. «Dopo aver bloccato l'ingresso al cortile a chiunque fosse di passaggio creando un clima di paura ingiustificato» raccontano attivisti del Comitato di lotta casa e territorio «hanno intimato alla famiglia di uscire e portare via tutti gli oggetti e i mobili e poi hanno richiuso subito l'appartamento con delle lamiere di ferro, lasciandolo vuoto e sfitto». Le volanti hanno quindi caricato i sei bambini e i loro genitori per trasferirli in questura «senza preoccuparsi di garantire per loro una sistemazione alternativa». Situazioni come questa «sono il risultato di un processo di speculazione edilizia ai fini della vendita degli alloggi popolari per la creazione di quartieri "di lusso" dove tutto è merce, specialmente la casa. Vorremmo ricordare, però, che a Milano, né l'Aler, né il Comune, tantomeno la Regione Lombardia si stanno adoperando per far fronte alla sempre maggiore richiesta di alloggi, senza considerare il problema del caro affitti e delle non-assegnazioni delle case popolari».
A denunciare la situazione di emergenza a Torino e Genova sono direttamente esponenti politici: «Torino è la terza città italiana per numero di sfratti» dichiara Roberto Tricarico, assessore comunale alle Politiche per la casa nonché responsabile Casa dell'Associazione nazionale Comuni italiani, da tempo in rotta di collisione con il governo. «Solo nel 2008 ne sono stati eseguiti ben 2.489, dei quali 2.216 per morosità». Nel capoluogo piemontese, continua a crescere la cifra mensile media che serve a pagare un alloggio: dai 621 euro del 2006 si è passati ai 660 del 2007. A testimonianza della gravità della situazione basti pensare che «in occasione dell'ultimo bando comunale per l'assegnazione di alloggi popolari sono arrivate oltre 10mila domande e ben 1491 di queste riguardavano nuclei che hanno dichiarato di vivere in una baracca o in un seminterrato». Dall'analisi effettuata dai responsabili di Palazzo Civico emergono altri dati allarmanti: per esempio sono 1.284 le famiglie che vivono in locali senza servizi igienici e 2.121 quelle che vivono situazioni caratterizzate da un rapporto superiore a tre fra persone e vani abitabili. A Genova nell'ultimo anno c'è stato «un incremento nelle richieste di case popolari dalle 2300 del 2007 alle 3200 del 2008». Lo ha reso noto lo scorso 18 febbraio, in una conferenza stampa, l'assessore alla Casa del Comune, Bruno Pastorino. Pastorino si è quindi augurato l'arrivo di fondi statali per l'edilizia popolare: in questo modo, ha detto, «non solo si risolverebbe il problema casa, ma si incentiverebbe il settore edilizio, oggi in forte crisi». 
Guardando al fenomeno sfratti, balza subito all'occhio il dato di Brescia, una città all'avanguardia capace di dare risposte a molti problemi sociali, ma «ferma al palo per quanto concerne l'emergenza abitativa», spiega Adriano Papa del Sunia. «Per i "patti in deroga" scaduti nel biennio 2001/2002, stipulati negli anni 1993/1994 con canoni medi di 400-500mila lire, si propongono rinnovi a non meno di 450-600 euro. Mentre per quanto riguarda il libero mercato, tra il 2003 e il 2008 si evidenziano richieste di rinnovo a canoni superiori del 30% rispetto al biennio di locazione precedente». Per questi motivi «mentre le richieste di sfratto per fine locazione negli ultimi 36 mesi sono nella media, lo sfratto per morosità ha subito un'impennata del 100%: si tratta sepsso di famiglie di anziani o monoreddito che non possono sopportare aumenti d'affitto che ormai divorano il 60% del loro reddito mensile». 
La risposta a questa emergenza non può che essere una: edilizia residenziale pubblica. E invece niente. Anzi, si continua ad andare nella direzione opposta. A Padova, ad esempio, si sta assistendo ad una «vera e propria dismissione del patrimonio pubblico» spiegano dall'Agenzia sociale per la casa: «l'Ater investe fondi nelle opere di ristrutturazione degli alloggi, propri e del Comune, ad esempio quelli di via Todesco, e poi li fa rientrare tutti nel proprio patrimonio che sta dismettendo». Il tutto nonostante un provvedimento giudiziale del Tar del Veneto che ha confermato la destinazione pubblica di queste unità immobiliari. Ma la gravità della situazione padovana non finisce qui. «Ogni anno si liberano fra i 120 e i 150 alloggi pubblici sui 5700 di cui dispone il Comune, a fronte di una richiesta di circa 1500». Evidentemente anche qui il misero rapporto di una casa popolare assegnata ogni dieci richieste è rispettato. E per il restante 90% delle domande? Per fronteggiare le situazioni di precarietà abitativa l'unica iniziativa delle ultime due giunte, Destro prima e Zanonato ora, è il "Progetto Casa Buona", che prevede l'assunzione in locazione, per un periodo di due anni, di alloggi di proprietà di privati per assegnarli in concessione ai cittadini in stato di necessità abitativa a fronte di un canone compreso fra un minimo di 250 euro e un massimo che non superi del 30% il valore dell'Isee dichiarato. «E' una soluzione transitoria. Il problema viene solamente spostato di due anni, non risolto, impegnando ingenti risorse che non vanno ad accrescere l'offerta strutturale del Comune ma finiscono direttamente nelle tasche dei privati», dice ancora l'Agenzia sociale per la casa. Per quanto concerne le situazioni più urgenti, «il Comune ha messo a disposizione tre strutture: la Casa a Colori, un albergo privato con cui è stata stipulata una convenzione per ospitare chi perde improvvisamente l'alloggio: qui, per qualche giorno, paga il Comune, ma successivamente il costo diventa a carico della famiglia (25 euro al giorno a persona con sola colazione inclusa); il Centro di accoglienza Gabelli, struttura comunale gestita da una cooperativa che offre solo 24 posti letto unicamente a cittadini immigrati con regolare permesso di soggiorno e contratto di lavoro per un periodo di sei mesi (110 euro al mese a carico dell'ospite con obbligo di uscita dalla struttura entro le 8.30 del mattino); e infine un asilo notturno che dispone di 70 posti letto per italiani e 12 per stranieri». 
Sono solo alcuni casi dell'infinito abisso italiano dell'emergenza abitativa, un baratro in cui «precari, famiglie, giovani coppie, studenti, lavoratori che apparentemente non occupano le fasce più marginali delle gerarchie sociali sono pienamente immersi» denunciano dall'Agenzia sociale per la casa. «A dimostrazione del crollo della retorica secondo la quale l'80% delle case sono ormai di proprietà delle famiglie che le abitano. La proprietà è delle banche in crisi e agli inquilini rimane il mutuo da onorare». 
E ora, dopo il varo della Cdp Investimenti Sgr Spa, creata dalla Cassa Depositi e Prestiti presieduta da Franco Bassanini con la partecipazione (15% ciascuno) di Acri (l'Associazione di casse di risparmio e fondazioni) e dell'Associazione Bancaria Italiana anche quella che il governo dipinge come la "soluzione" all'emergenza abitativa sarà "di proprietà" di chi la crisi l'ha creata.