DALL'ASIA-RDB UN PROGETTO PER IL NUOVO SOGGETTO UNITARIO.

CONTRIBUTO AL DIBATTITO CONGRESSUALE REGIONALE CHE STA PRECEDENDO LA COSTRUZIONE DEL NUOVO SOGGETTO SINDACALE.

Roma -

DAL DIRITTO ALL'ABITARE AL SINDACALISMO METROPOLITANO

 

1. La costruzione del soggetto sindacale unitario alla quale stiamo partecipando da tempo con convinzione è un passaggio politico ed organizzativo che si sta producendo dentro una fase di forte crisi economica e di riduzione degli strumenti di tutela tradizionale di cui disponevano in passato i lavoratori. Mentre tutti i governi occidentali si affannano a sostenere che la crisi è finita e che la ripresa è già cominciata, la gente comune continua a soffrire le conseguenze durissime della perdita di posti di lavoro e della contrazione generale dei redditi. Assistiamo ad un autentico spaesamento tra il dato ufficiale della “ripresa” e la quotidianeità di un logoramento progressivo delle condizioni materiali. Anche il recente dato elettorale che segna un forte incremento dell'astensionismo ci parla della distanza crescente tra il “discorso” della politica e la realtà, come se la politica non potendo nè volendo affrontare i problemi concreti prodotti dalla crisi economica preferisse occuparsi d'altro. La crisi pertanto scompare come tema collettivo e ritorna nella vita della gente come condizione individuale, il prodotto di un demerito, di un ritardo o di una colpa personale.

 

2. La crisi come il prodotto della responsabilità del singolo è quanto verifichiamo da tempo nel mondo dell'inquilinato o in quello più disagiato dei senza casa. Mentre nel mondo del lavoro esiste una tradizione più consolidata di difesa collettiva del posto di lavoro - la scelta di salire sui tetti per quanto sintomo di debolezza è pur sempre l'affermazione collettiva di un diritto - nella difesa del diritto alla casa la tradizione di lotta collettiva è più debole ed è molto più frequente il ricorso alla soluzione individuale. Ma oggi, con la diffusissima precarizzazione dei rapporti di lavoro, anche nel mondo del lavoro sembra prevalere la logica individuale ed è sempre più difficile fare ricorso agli strumenti di tutela collettivi. Anzi, la nostra esperienza recente ci dice di persone che riescono a trovare nel diritto all'abitare una dimensione di difesa e di organizzazione collettiva, mentre hanno rinunciato ad esercitare forme di resistenza collettiva sul posto di lavoro. Un paradossale ribaltamento di prospettiva che ci costringe ad interrogarci sul nostro futuro come sindacato dell'inquilinato ma anche come soggetto sindacale confederale di base.

 

3. L'assenza di una politica della casa, la crescita del fenomeno migratorio e l'uso spregiudicato del suolo in funzione della rendita sono i fattori che hanno alimentato l'emergere di una vera e propria crisi dell'abitare. La casa è una parte consistente del reddito per molte famiglie e la sua voce è stata in continua crescita negli ultimi anni. Per le fasce più deboli e precarie essa costituisce oggi un bene inaccessibile, il che produce il moltiplicarsi degli alloggi di fortuna. Per una fascia di ceto medio-basso che in passato aveva accesso alle case degli enti, è diventato un bene a rischio, fonte di declassamento sociale. Per la vita delle città il problema della casa si riflette nelle condizioni di sicurezza dei quartieri e nelle trasformazioni urbanistiche.

Come Asia-rdb siamo consapevoli che questo fenomeno è in forte aumento e che sono possibili oggi processi di organizzazione di massa in molte grandi città, non solo a Roma dove esiste una lunga tradizione di lotte per la casa, sia nel mondo dell'inquilinato che in quello dei senza casa.

 

4. Bisogna partire dai dati di una crisi strutturale del sistema alloggiativo pubblico e dagli indirizzi programmatici del governo e delle regioni che tendono a cancellare l'edilizia popolare così come l'abbiamo conosciuta sostituendola con nuove forme dell'edificare sociale orientate dagli interessi della rendita immobiliare e non dalla difesa del diritto alla casa per tutti e tutte. Si tende perciò ad utilizzare l'emergenza abitativa per sviluppare una via d'uscita dalla crisi del settore immobiliare, che si basa su cessioni di aree pubbliche, incentivi fiscali e facilitazioni nelle procedure edificatorie, immaginando nuovo cemento e nuovo consumo di suolo da parte dei privati attratti da nuovi possibili profitti.

Gli istituti bancari con i loro fondi immobiliari saranno nuovamente protagonisti finanziari nei “piani casa” regionali ed anche le cooperative nonché il terzo settore si aspettano qualcosa di buono da questa ripartenza edilizia che usa l'emergenza provando a ricattare anche i movimenti di lotta impegnati nel difendere nello stesso tempo il diritto alla casa e la qualità della vita. Non è con nuovo cemento che si risolve l'emergenza, ma sicuramente sarà il nuovo cemento a far ripartire riciclandolo, un sistema finanziario responsabile della crisi odierna. Come mettere il lupo a guardia delle pecore. La rendita immobiliare cerca di mantenere inalterati i profitti e per farlo confligge apertamente con i redditi di ognuno di noi, aumentando gli affitti e acquisendo il patrimonio un tempo degli enti per poi dismetterlo a prezzi di mercato che gli inquilini sono costretti a pagare per non perdere l'alloggio. Questo significa che il portafoglio di ognuno si svuota per garantirsi un diritto che dovrebbe essere acquisito, il diritto ad una casa dove il canone sia legato al proprio reddito.

La legge 431/98 è stata la causa di questa devastazione sociale e culturale. Ancora oggi i sindacati, che sostennero allora quest'impianto legislativo che ha consegnato al libero mercato gli inquilini, continuano imperterriti a fiancheggiare le grandi proprietà, gli enti e le banche, firmando accordi capestro che riguardano migliaia di persone e senza mai produrre mobilitazioni e conflitto, dentro un' ipotesi concertativa utile a tutelare interessi e rendite di posizione consolidate fin dentro i consigli d'amministrazione, passando dal controllo alla complicità nelle politiche di dismissione degli enti, delle fondazioni e dei fondi immobiliari.

 

5. Ma le battaglie condotte in questi anni ci hanno anche messo a confronto con le nuove caratteristiche del tessuto urbano, attraversato da culture, religioni e nazionalità diverse, e a segnalarci perciò una nuova direttrice di lavoro politico e sociale. I movimenti per il diritto all'abitare hanno assunto già da tempo un carattere meticcio e multiculturale e si sono dovuti confrontare con due questioni di grande rilevanza: il razzismo crescente tra i lavoratori italiani e gli abitanti dei quartieri popolari delle grandi città e l'assenza di strumenti di difesa collettiva dei nuovi cittadini provenienti da altri paesi. Innanzitutto abbiamo dovuto prendere atto che il razzismo non è un fenomeno culturale passeggero ma il prodotto oggettivo di una situazione concreta (i lavoratori migranti vengono visti come una sorta di nuovi crumiri) sulla quale si innestano le politiche identitarie dei partiti della destra. Esso non può essere combattuto soltanto con una politica culturale o con il sostegno all'accoglienza: è indispensabile un processo di sindacalizzazione dei lavoratori migranti in grado di rilanciare una politica dei diritti per tutti. Sul tema dell'abitare i migranti costituiscono la parte più numerosa dei movimenti dei senza casa e sono loro a condurre le iniziative in difesa delle persone sotto sfratto o a manifestare per una ripresa delle politiche a favore degli alloggi popolari. In molti contesti proprio queste dinamiche hanno rappresentato uno strumento di contrasto efficace alla xenofobia.

 

6. Misurandoci quotidianamente con questi tre aspetti della realtà (la reazione individuale agli effetti della crisi, la precarizzazione diffusa, il razzismo sociale) abbiamo constatato non solo la possibilità di uno sviluppo delle mobilitazioni in difesa del diritto all'abitare ma anche le possibilità che esse offrono di entrare in relazione con settori sociali che vivono condizioni di pesante sfruttamento ma non dispongono degli strumenti della difesa collettiva. Da questo percorso concreto scaturisce l’ipotesi di costruzione di Agenzie del sindacalismo metropolitano come strumenti di organizzazione, di raccordo e di inchiesta del tessuto sociale delle aree metropolitane, ipotesi sulla quale avviare un largo confronto. L'obiettivo è quello di far crescere, insieme e accanto all'Asia-rdb, una rete di sportelli, associazioni, attività che tutelino e rappresentino quei pezzi della realtà sociale che non riescono ad organizzarsi nelle forme sindacali tradizionali . Si tratta di un progetto aperto, sperimentale, i cui tanti aspetti concreti si andranno definendo in corso d'opera, che va oltre la dimensione specifica del diritto all'abitare e che mira a costruire un rapporto di più fitta ed intensa relazione con il sindacato di base.

 

7. La frammentazione del mondo del lavoro e la condizione di ricattabilità nella quale si trovano milioni di lavoratori costutiscono forse i problemi più acuti con i quali ci troviamo a fare i conti nel nostro essere sindacato di base. La difesa dei servizi comuni, la salvaguardia dell'ambiente e del territorio, la tutela della salute, il diritto alla formazione, la valorizzazione del carattere pubblico della ricerca, i diritti di cittadinanza, ecc. possono rappresentare altrettanti terreni, accanto alla lotta per il diritto all'abitare, di organizzazione sociale e di tutela collettiva per migliaia di lavoratori che sono rimasti intrappolati dentro una dimensione individuale. In molti casi si tratta di terreni di iniziativa non abituali per il sindacalismo di base, che necessitano di forme di organizzazione e di lotta completamente diverse. L’ipotesi delle Agenzie torna così utile per proseguire il difficile percorso di organizzazione e coordinamento di tutte le figure del lavoro e della vita sociale che fa da sfondo al processo di costruzione di un nuovo e più grande sindacato unitario di base.

 

Aprile 2010

 

ASIA/RdB