Enasarco, l'accusa del vicepresidente sulla gestione dei fondi per le pensioni
Andrea Pozzi si è dimesso un mese fa dalla cassa di previdenza degli agenti di commercio con una lettera in cui denuncia scelte di investimento opache. E scrive di essere stato al centro di "episodi inquietanti" su cui ora indaga la polizia
di Luigi Franco | 30 novembre 2013
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I particolari delle sue dimissioni trapelano solo ora. Ma la lettera del vicepresidente della Fondazione Enasarco Andrea Pozzi è arrivata sulla scrivania del presidente Brunetto Boco un mese fa. E i dettagli della missiva che filtrano dagli uffici della cassa di previdenza e assistenza degli agenti di commercio hanno un significato allarmante per i suoi 250mila iscritti: gli investimenti fatti con i loro contributi, che un giorno dovrebbero garantire le loro pensioni, secondo Pozzi sono a rischio. Nel documento di cui ilfattoquotidiano.it è venuto in possesso l’ormai ex vicepresidente dell’ente scrive di essere intervenuto nel tentativo di tutelare gli iscritti. Ma ne sono conseguiti “certi inquietanti episodi” che lo hanno messo “in apprensione”. Episodi su cui ora stanno indagando le forze dell’ordine, in seguito a una denuncia che la questura di Milano si è vista recapitare a fine ottobre.
Sfocia dunque nella cronaca una vicenda che fino a qualche settimana fa era rimasta confinata negli ambienti della finanza. “Mi sono reso conto – si legge nella lettera in cui Pozzi ha comunicato le proprie dimissioni – che alcuni investimenti importanti della fondazione erano in perdita, che i gestori di tali investimenti in perdita non erano a mio giudizio adeguati, che occorreva intervenire”. I dubbi di Pozzi non sono nuovi. Risalgono almeno allo scorso febbraio, quando l’allora vicepresidente è protagonista di un duro intervento in cda in cui accusa la “negligenza” del presidente Boco. E punta il dito contro investimenti fatti attraverso veicoli con sede in paradisi fiscali come le Mauritius senza che ne sia stata fatta comunicazione a Bankitalia. In cda Pozzi sottolinea poi le criticità dei fondi Athena che sono andati a finanziare la Time and Life di Raffaele Mincione. Un rapporto, quello tra Enasarco e il finanziere romano con base a Londra, che secondo quanto scritto ieri da Repubblica ha portato nella disponibilità di Mincione ben 185 milioni di euro, una ventina dei quali sono stati persi nell’investimento in Monte dei Paschi di Siena e in altri di entità minore, mentre circa 140 sono stati utilizzati per la “scalata” del finanziere alla Banca Popolare di Milano.
Ma ciò su cui Pozzi concentra la propria attenzione nell’intervento di febbraio è soprattutto il portafoglio di derivati di cui faceva parte la nota Cms (ex Anthracite), trasferita nel 2011 per un valore nominale di 780 milioni di euro al comparto Res Capital Protection della società d’investimento a capitale variabile Europa Plus, gestita dalla Gwm di Sigieri Diaz Pallavicini, finanziere legato a Marco Tronchetti Provera, e di Massimo Caputi, già alla guida del carrozzone di Stato Sviluppo Italia (oggi Invitalia) ed ex rappresentante di Francesco Gaetano Caltagirone al Monte dei Paschi di Siena. L’investimento nella relazione di bilancio 2012 di Enasarco finisce nel capitolo “investimenti alternativi”, dietro cui potrebbero nascondersi perdite potenziali da oltre 500 milioni di euro, ovvero la differenza tra il valore di carico degli asset (1,9 miliardi) e quello di mercato (1,4 miliardi). Un delta negativo che per 456 milioni deriva proprio dal fondo Europa Plus Res Capital Protection e che Enasarco non ha svalutato a bilancio perché “protetto” da un Btp zero coupon con scadenza nel 2039, la stessa dei derivati. Una protezione su cui non ha nascosto tutti i propri dubbi la Covip, la commissione di vigilanza sui fondi pensione, in una richiesta di chiarimenti dello scorso gennaio, che non ha mutato la posizione della fondazione.
Le preoccupazioni per Enasarco espresse a febbraio sono rimaste anche nei mesi successivi e Pozzi il 25 ottobre ha comunicato le proprie dimissioni. Nella missiva parla di “circostanze, che hanno riscontri effettivi, dalle quali sono indotto a pensare che la mia permanenza nel consiglio della fondazione possa danneggiare in modo grave la mia figura professionale e le attività imprenditoriali mie e della mia famiglia”. E poi il riferimento a “certi inquietanti episodi che si sono verificati in concomitanza dei consigli di amministrazione o di altre importanti riunioni del consiglio di amministrazione” che hanno messo Pozzi “in apprensione”. Parole che sembrano riferirsi ad atti intimidatori su cui ora indagano gli investigatori della questura di Milano. Contattato da ilfattoquotidiano.it, Pozzi non ha voluto rilasciare in merito alcuna dichiarazione chiarificatrice.
Il banchiere Popolare da Pomezia alla City soci e affari di Raffaele Mincione
LE FOTO LO RITRAGGONO QUASI SEMPRE IN SMOKING, GLI SI ATTRIBUISCONO LOVE STORY CON DONNE FAMOSE DEL JET SET. LA SUA ASCESA, I DUBBI SULLE ORIGINI DEI SUOI CAPITALI, LE SOCIETÀ OFFSHORE, I TRUST E IL RUOLO DI LAMBERTO DINI. ORA LA SFIDA DENTRO BPM
Vittoria Puledda
E legante, misterioso, playboy e molto ricco (o quantomeno con fortissime disponibilità da investire, il che non è necessariamente la stessa cosa). Un poker di caratteristiche che si attagliano quasi allo stesso modo a Raffaele Mincione, ora azionista di rilievo - con il 7% - della Bpm. Le sue foto più diffuse lo ritraggono in smoking, con farfallino nero e a fianco di belle donne. Gli si attribuiscono storie con Heather Mills, l’ex moglie di Paul Mc-Cartney e con Nina Wendelboe (ex di Philippe Junot); a Londra, ha condotto a lungo una vita da jet set. Il quarantottenne nato a Pomezia continua a dividersi tra la City - dove ha lavorato nelle principali banche d’affari - e Roma, ma proprio a Londra ha fatto uno dei colpi della sua vita di finanziere, con l’acquisto a prezzi da saldo (rispetto alla richiesta iniziale) di uno stabile a Knightsbridge, nel cuore più chic della città. Una parte delle sue fortune (economiche) vengono fatte risalire ai bond russi, comprati quando valevano 8 (all’epoca della disfatta del rublo) e rivenduti a 128. Non è l’unico colpo gobbo, sempre nel campo della finanza distressed, come lo stesso Mincione ha raccontato all’Espresso poco più di un anno fa; sulla stampa specializzata si è parlato anche di operazioni sul petrolio. Almeno in Italia i riflettori sull’uomo d’affari, che pure aveva già società attive a Roma, oltre che nei paradisi fiscali del Jersey e del Lussemburgo, si accendono quando acquista i diritti inoptati dell’aumento di capitale di Bpm, tra Natale e Capodanno 2011. Una quota di poco superiore all’8%, pagata grosso modo 60 milioni, narrano le cronache. Un investimento motivato dallo stesso Mincione, all’epoca, con il fatto che «Bpm è una banca con un solido Tier1 e una fortissima presenza in Lombardia: credo che con il nuovo management, con a capo Annunziata e Bonomi, la banca possa esprimere ancora più valore». Da allora sono passati poco più di due anni ma è come se fosse trascorsa un’era geologica. L’origine dei capitali di Mincione continua a restare confusa, tanto da aver sollevato più di un’interrogazione parlamentare, dai senatori Anna Bonfrisco a Mario Ferrara, mentre il deputato Alberto Giorgetti stigmatizza come la partecipazione in Bpm «sia veicolata attraverso non meglio identificate società offshore». Qualcuno parla dei fondi di facoltose famiglie milanesi; più di recente e non senza qualche mal di pancia interno - è emerso almeno un finanziatore indiretto di Mincione: la Fondazione Enasarco. L’Ente Nazionale di Assistenza per gli Agenti e Rappresentanti di Commercio, per investire le sue risorse infatti ha scelto tra l’altro di «sottoscrivere quote di un fondo obbligazionario che a sua volta ha investito in fondi di Mincione». Un’ottantina di milioni di euro, ricostruisce l’Ente, tuttavia senza avere rapporti diretti con lo stesso Mincione né soprattutto «aver mai partecipato alle scelte decisionali di investimento del suo fondo». Sia come sia, anche la Consob ha voluto vederci chiaro sulla sua quota, scesa peraltro al 7%. E infatti a maggio era partita la richiesta di informazioni, sfociate nella dichiarazione riportata in chiaro anche sul sito, che fa risalire a Mincione stesso la proprietà delle quindici società in cui ha spacchettato il 7% (attraverso il Capital Investment trust regolato dalle leggi del Jersey, anche se la società controllante delle singole partecipazioni è la Time & Life sa, di cui è presidente Lamberto Dini). Ma, sembra di capire, vista la struttura molto complessa è possibile che l’attenzione della Commissione resti alta. Del resto, nelle prossime settimane la tensione - e i motivi di attenzione intorno alla Popolare - saranno molteplici. Infatti Mincione, che per due anni e passa ha fatto il socio silente, è improvvisamente uscito allo scoperto, proponendosi nei fatti come l’anti-Bonomi, l’altro socio forte della Bpm. L’asso nella manica del finanziere è stato Lamberto Dini, ma non è detto che non ci siano altri colpi di scena da qui al 21 dicembre, quando si terrà l’assemblea della banca, per eleggere un nuovo consiglio di sorveglianza che poi a sua volta sceglierà il consiglio di gestione (comprensivo di amministratore delegato). Certo la situazione è esplosiva: da un lato infatti c’è una governance che ha cominciato a rinnovare solo nello spirito e niente nelle carte (lo Statuto è rimasto lo stesso che aveva dato vita al duale), dall’altro c’è una situazione quasi irreale, di due soci con pacchetti tra il 7% e l’8,6% in una struttura che continua a chiamarsi “popolare”. Per non parlare del socio industriale francese, il Credit Mutuel, che ha a sua volta il 6,8%. Inoltre c’è l’esigenza di dare un assetto ragionevolmente gestibile alla banca, che negli ultimi tempi è andato perso e che è deflagrato con le dimissioni di Piero Montani, andato via - non in punta di piedi - per trasferirsi a Genova alla guida della Carige. Da quel momento l’opera difficilissima di mediazione finora tentata per arrivare ad una riscrittura della governance ancora lontana dall’essere arrivata in porto - è saltata come un tappo di champagne, facendo esplodere la crisi: il consiglio di sorveglianza infatti non se l’è sentita di nominare un consiglio di gestione per tre anni (tempo minimo per qualsiasi nuovo amministratore delegato) alla luce del parere pro veritate presentato appunto da Mincione. L’azionista infatti paventava «una spoliazione del diritto dei soci di poter, almeno ogni triennio, imprimere alla società l’indirizzo dagli stessi ritenuto opportuno». E a quel punto la soluzione adottata è stata andare di nuovo in assemblea. Tempo per presentare le liste c’è sino a fine novembre o ai primi di dicembre. Non moltissimo, quindi, per arrivare ad individuare nomi e schieramenti. Sul campo infatti c’è Andrea Bonomi e la sua Investindustrial. Forte di un investimento rilevante nella banca e del fatto di averla gestita finora, ma allo stesso tempo per il momento incapace di trovare una soluzione condivisa con le altre forze sociali. A partire dai soci-dipendenti- pensionati, che forse non saranno più un blocco compatto come ai tempi dell’associazione Amici (ora formalmente sciolta e da poco sanzionata dalla Consob per patto parasociale non dichiarato) ma hanno ancora una forte influenza all’interno della banca. Da chiarire c’è anche il ruolo di Piero Lonardi, rappresentante storico degli azionisti non dipendenti della banca - ma non per questo necessariamente amico di Bonomi, anzi e infine lo stesso Mincione. Lo Statuto della banca assegna alle varie liste in campo un numero decrescente di consiglieri di sorveglianza, a seconda ovviamente dei voti ottenuti. E poi riserva due posti in consiglio di sorveglianza ai rappresentanti degli investitori istituzionali, cioè a uno o più fondi. Ma, altra ragione a complicare un quadro già confuso, un trust non è un fondo, dunque non può essere Mincione a presentare la lista che aspira ad avere i due posti in consiglio (l’altra volta la lista di Assogestioni non ce l’aveva fatta e i due posti erano andati all’altra lista degli istituzionali presentata da Investindustrial, anche se poi lo stesso Bonomi era stato eletto alla guida del cdg con i voti della lista di maggioranza presentata da Amici). Insomma, la vigilia è incandescente. Le prossime settimane promettono molti colpi di scena. Nel disegno, Raffaele Mincione visto da Dariush Radpour Il finanziere ha attività in Italia ma anche in diversi paradisi fislcali
(11 novembre 2013)
Enasarco e Futura Sicav
divorzio alle porte
di VITTORIA PULEDDA
Meglio perdere 13 milioni ora oppure dover contabilizzare una differenza tra investimento iniziale e valore di mercato di 80 milioni (sempre che le cose non migliorino, ma nemmeno peggiorino) a fine bilancio 2014? Il simpatico interrogativo attanaglia Enasarco che, oltre alla vicenda Mincione, negli anni passati è incorsa in un altro investimento complicato, quello nella Sicav Futura fund, comparto Newton.
Un investimento non solo sfortunato dal punto di vista finanziario (ancora una volta) ma anche ad alto tasso di conflittualità. Al punto che l'attuale responsabile del Servizio Finanza di Enasarco ha preso carta e penna ed ha consigliato al suo presidente di smontare la struttura dell'operazione perché ritiene ormai che "il rimedio più consigliabile sia ridurre fortemente i rapporti in essere con il gestore" con il quale la relazione si è definitivamente guastata. E come si esce dalla Sicav? La proposta di Enasarco è di liquidare la partecipazione, con un riscatto in natura (in pratica, prendendosi gli asset sottostanti). Il dibattito è in corso e a quanto pare le carte bollate sono pronte a scattare. Resta una curiosità: ma nel suo passato prossimo Enasarco ne ha imbroccata qualcuna, nelle scelte finanziarie?