INCOSTITUZIONALITA' DELL'ART. 5 DEL DECRETO CASA RENZI/LUPI: INTERVENTO DELL'AVV. VINCENZO PERTICARO
PROFILI DI INCOSTITUZIONALITA’ DELL’ART. 5 DEL DECRETO LEGGE N.47 DEL 28 MARZO 2014 (DECRETO LEGGE RENZI-LUPI).
Secondo quanto statuito dall’art. 5 del D.L. n.47 del 28 marzo 2014, “Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge”.
Appare di tutta evidenza che la ratio di tale norma è quella di voler reprimere fattispecie delittuose riconducibili alla sfera di applicazione dell’art. 633 c.p., a norma del quale “Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da € 103,00 ad € 1032,00”.
A ben vedere, dall’art. 5 del richiamato D.L. emerge come intento prioritario del legislatore sia esclusivamente quello di reprimere le condotte criminose de quibus, sacrificando diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti, primo fra tutti quello all’integrità fisica tutelato dall’art. 32 della nostra Carta Costituzionale.
Una tale disposizione si appalesa oltremodo illegittima se si tiene conto della circostanza che lo stesso legislatore penale ha previsto, all’art. 54 c.p., la non punibilità di “chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona”, introducendo, in tal modo, una causa di giustificazione definita come “stato di necessità”.
Secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 54 c.p., nel concetto di “danno grave alla persona”, debbono essere ricompresi tutti quei diritti astrattamente riconducibili all’alveo dell’art. 2 Cost. ed indispensabili per la tutela della persona umana come, nel caso che ci occupa, il diritto ad una abitazione la cui funzione è quella di impedire che un soggetto possa essere limitato dalla violazione di un altro diritto, primi fra tutti la vita e l’integrità fisica.
Tutto ciò trova, peraltro, pieno riscontro in numerosi pronunciamenti degli Ermellini. Difatti, con la sentenza n. 24987/2011 Cass. Pen., è stato ritenuto che“Ai fini della sussistenza dell'esimente dello stato di necessità previsto dall'art. 54 c.p., rientrano nel concetto di "danno grave alla persona" non solo la lesione della vita o dell'integrità fisica, ma anche quelle situazioni che attentano alla sfera dei diritti fondamentali della persona, secondo la previsione contenuta nell'art. 2 Cost.; e pertanto rientrano in tale previsione anche quelle situazioni che minacciano solo indirettamente l'integrità fisica del soggetto in quanto si riferiscono alla sfera dei beni primari collegati alla personalità, fra i quali deve essere ricompreso il diritto all'abitazione in quanto l'esigenza di un alloggio rientra fra i bisogni primari della persona.”.
Ed ancora, è la sentenza n.13.09.2011 n° 33838 Cass. Pen.a precisare che “L'illecita occupazione di un bene immobile è scriminata dallo stato di necessità conseguente al danno grave alla persona, che ben può consistere, oltre che in lesioni della vita o dell'integrità fisica, nella compromissione di un diritto fondamentale della persona come il diritto di abitazione, sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell'illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi, e cioè l'assoluta necessità della condotta e l'inevitabilità del pericolo”.
Orbene, alla luce di quanto fin qui esposto, non può non riscontrarsi come la previsione dell’art. 5 del D.L. n.47 del 28 marzo 2014, mirando a reprimere le condotte contra jus di chi occupa abusivamente un immobile,si presti a ledere molteplici diritti fondamentali costituzionalmente garantiti a tutti gli individui, in primis quello all’integrità fisica.
Al fine di poter meglio delineare i diritti costituzionali che si ritengono violati dalla disposizione de qua, occorre dapprima specificare la base giuridica su cui poggia il concetto di residenza e, precisamente, l’art. 43 c.c. il quale dispone che “il domicilio di una persona è nel luogo in cui ha stabilito la sede dei suoi affari ed interessi. La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”.
Una tale formulazione, se da un lato riconduce il concetto di domicilio ad una condizione giuridica del soggetto, dall’altro lega quello di residenza ad una situazione di fatto intrinsecamente legata alla dimora abituale del soggetto, ossia alla stabile presenza di quest’ultimo nel territorio comunale ed alla sua intenzione di mantenerla.
Difatti, secondo l’opinione andatasi formando nella giurisprudenza italiana, al fine di potersi attribuire ad un determinato soggetto il diritto di residenza, debbono contemporaneamente ricorrere due elementi e, specificatamente, un elemento oggettivo ed uno soggettivo (o volontaristico). Il primo, si configura come la permanenza del soggetto in un determinato luogo, mentre il secondo attiene alla volontarietà di tale permanenza, desumibile dalla condotta tenuta dal medesimo soggetto. Posta tale chiarificazione, la residenza sembra pertanto coincidere con il luogo dell’esistenza tout court, ossia il luogo degli affetti famigliari e dei bisogni primari ed elementari del soggetto.
Rilevando, ai fini della concessione della residenza, solamente condizioni di fatto in cui versa in soggetto richiedente, devono conseguentemente essere escluse altre e diverse circostanze quali, ad esempio, che il medesimo soggetto abbia o meno un lavoro, abbia precedenti penali, ovvero che il di lui possesso dell’abitazione sia legittimo. Da ciò discende, pertanto, che la residenza consiste nell’essere la persona stabilmente ed abitualmente presente in un determinato luogo, non assumendo rilievo le caratteristiche del luogo ma il fatto che questo si trovi nel territorio comunale.
Il diritto alla residenza, difatti, si configura come un diritto soggettivo perfetto disciplinato da diverse norme quali la Costituzione (artt. 2,3, e 14), il codice civile (agli artt. 43 e ss.), la Legge n.1128/1954, il D.P.R. n.223 del 20.05.1989, il D. Lgs. n. 286 del 25 luglio 1998, art. 29, e, altresì, dal D.L. n.5 del 9.02.2012, convertito in legge n.35 del 04.04.2012.
Il diritto alla residenza è rinvenibile nella Carta Costituzionale, agli artt. 2,3,14 e 16. L’art. 2 Cost., infatti, riconosce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo “sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, mentre il successivo art. 16 Cost. statuisce che “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generaleper motivi di sanità o di sicurezza”.
Fatte tali premesse, appare ictu oculi che il riconoscimento della residenza è strettamente connesso all’esercizio di numerosi diritti fondamentali di portata costituzionale, infatti, oltre ad essere un diritto in sé, la residenza è il requisito per accedere ai servizi sociali, sanitari e assistenziali. A tal proposito si può richiamare il diritto all’abitazione, incluso espressamente tra i diritti inviolabili dell’uomo dalla Corte Costituzionalecon la sent. n. 404/1988.
La residenza è, pertanto, un diritto soggettivo da cui deriva il godimento di diversi diritti inviolabili appartenenti a ciascun individuo, tra i quali va senz’altro annoverato il diritto alla salute (art. 32Cost.): tale norma costituzionale, difatti, afferma il diritto alla salute dei cittadini e della collettività, la cui attuazione è affidata al servizio sanitario nazionale che eroga le sue prestazioni in base alla residenzialità degli utenti.
Ma non è tutto. Tra i diritti costituzionali intrinsecamente connessi al diritto di residenza si possono richiamare il diritto allo studio (art. 34 Cost.), ad una vita libera e dignitosa (art.36), al voto e, in generale, il diritto a partecipare alla vita sociale e civile. Il rispetto e la tutela di tali diritti vale per tutti esseri umani, quale che sia la condizione personale e sociale di ciascuno.
In una prospettiva radicalmente opposta a quella fin qui delineata sembra, invece, radicarsi la disciplina dell’art. 5 del D.L. n.47 del 28 marzo la quale, in palese contrasto col principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., va a danneggiare i cittadini più poveri. Infatti, a volte, la abituale dimora di queste famiglie impoverite coincide con immobili malsani, roulottes, abitazioni abusive o fatiscenti o, come nel caso che qui ci interessa, immobili occupati senza titolo. Ciò non dovrebbe, in modo alcuno, pregiudicare il diritto dei medesimi cittadini ad essere riconosciuti come residenti all’anagrafe comunale. A tal proposito, è d’obbligo richiamare la Circolare del Ministero dell’Interno n. 8 del 29 maggio 1995 con cui viene sancita l’illegittimità di alcune prassi tendenti a condizionare l’iscrizione anagrafica alla dimostrazione di alcuni requisiti. Invero, come si può ben leggere nella richiamata Circolare, “La richiesta di iscrizione anagrafica, che costituisce un diritto soggettivo del cittadino, non appare vincolata ad alcuna condizione, né potrebbe essere il contrario, in quanto in tal modo si verrebbe a limitare la libertà di spostamento e di stabilimento dei cittadini sul territorio nazionale in palese violazione dell’art. 16 della Carta costituzionale.”.
Ciò posto, appare di tutta evidenza che qualsivoglia comportamento idoneo a limitare, se non addirittura ad escludere completamente, il diritto di residenza spettante a ciascun cittadino, è da ritenersi contra legem e lesivo dei diritti dei cittadini stessi.
Difatti, se da un lato l’art. 5 del D.L. n.47 del 28 marzo 2014 ha come intento primario, se non esclusivo, quello di reprimere le fattispecie criminose riconducibili alla sfera degli artt. 633 e 639-bis c.p.c., dall’altro lascia completamente privi di qualsivoglia tutela tutti coloro i quali, spinti dalla necessità di scongiurare il pericolo di un danno grave alla propria persona ovvero a quella dei propri cari, hanno posto in essere le condotte richiamate dalle fattispecie de quibus. Il D.L. in questione si appalesa, pertanto, del tutto inidoneo a fronteggiare il disagio abitativo che colpisce moltissime famiglie italiane impoverite, non prospettandosi nello stesso alcuna risoluzione atta a fronteggiare tale emergenza se non quella di negare, a coloro che abusivamente occupano un immobile la possibilità, di richiedere la residenza o l’allacciamento a pubblici servizi. Tutto ciò, a ben vedere, compromette fortemente la dignità di ogni essere umano e, specificamente, di tutte quelle famiglie indotte a tenere comportamenti contra jus al solo fine di rivendicare il proprio diritto ad una abitazione, non altrimenti garantitogli dallo Stato in cui vivono.