Mutui cari nonostante il «mini-Btp»
Lo spread tra BTp e Bund viaggia sotto 200 punti, come nell’estate 2011. Il Ftse Mib di Piazza Affari staziona sopra i 19mila punti, come nell’estate 2011, quella della quiete prima della tempesta. Nell’autunno che ne seguì, infatti, Borse e bond crollarono in scia al contagio dell’Italia nella crisi dell’Eurozona. Lo spread sui titoli a 10 anni si impennò fino a 575 punti, quello a due anni oltre quota 700 segnando una clamorosa inversione della curva dei rendimenti. Se invece facciamo lo stesso confronto sul fronte mutui lo scenario è profondamente diverso.
L’impatto sulle rate
Nell’estate 2011 si potevano ottenere mutui con spread (quello applicato dalla banca, che si aggiunge all’Euribor nei mutui a tasso variabile e agli indici Irs nei mutui a tasso fisso per ottenere il tasso finale di interesse del prestito ipotecario) inferiori all’1%. Mentre oggi il tasso medio oscilla intorno al 3%, con punte al ribasso del 2,4% e al rialzo persino superiori al 4%. Considerando che gli Euribor nel frattempo sono crollati (l’indice a 3 mesi è sceso dall’1,4% allo 0,28%) così come gli Irs (l’indice a 25 anni, la scadenza di mutuo più gettonata, è passato dal 3,85% al 2,76%) l’effetto sulle rate nel confronto degli ultimi tre anni è mitigato (su un fisso di 140mila euro a 25 anni stipulato oggi si pagano 35 euro in più e su un variabile analogo 60 euro, si veda tabella). Resta il fatto che molti di coloro che si apprestano a chiedere un mutuo adesso si chiedono perché, a conti fatti, mentre i principali parametri finanziari (spread sui bond sovrani e andamento di Piazza Affari) stanno rivedendo i valori pre-crisi lo spread sui mutui è invece circa il triplo del periodo pre-crisi. Quasi paradossale. Da un lato i mercati scommettono su un miglioramento dell’economia (premiando anche il debito pubblico italiano e la Borsa milanese) dall’altro le banche sono ancora restie a “normalizzare” gli spread sui mutui. C’è qualcosa che non quadra tra la “scommessa finanziaria” (dei mercati) e la “scommessa reale” (delle banche nel riaprire i rubinetti del credito) sulle aspettative di una ripresa nel 2014. Come mai? Non si può omettere in questo discorso – che abbraccia anche le imprese e il calo delle prestiti del 5,9% a novembre – che dal 2011 molte banche italiane abbiano destinato buona parte della liquidità per rimpolpare i portafogli di titoli di Stato, aggiungendone circa 200 miliardi, profittando dei bassi tassi di interesse offerti dalla Bce a fronte di garanzie (collaterale) scollegate dai prestiti concessi a famiglie e imprese (come invece accaduto in Inghilterra attraverso i Funding for lending scheme). Nè si può omettere che negli ultimi mesi, anche grazie alla discesa degli spread tra i debiti sovrani e al conseguente riapprezzamento dei BTp, i titoli bancari stiano recuperando terreno a Piazza Affari. In conclusione, non si può non ammettere che la ricerca di profitti di breve periodo attraverso le “vie più rapide della finanza” abbia in alcuni casi prevalso alla logica di incentivare investimenti reali.
Il miraggio dell’1%
Allo stesso tempo chi si aspetta che per catarsi gli spread sui mutui debbano tornare in tempi rapidi nell’orbita dell’1%, sbaglia. Basta osservare l’economia reale. Secondo i dati di Eurisco-Crif il tasso di default sui mutui è aumentato dall’1,6% del 2012 al 2% di metà 2013. La disoccupazione? Non è quella del 2011 (8,1%) ma è decisamente più alta (12,5%). Questo significa che rispetto al 2011 fa c’è molta gente in più a casa o con reddito deteriorato. Anche per questo motivo (e non solo per tasse in continuo aumento sulla casa) la domanda di mutui è crollata negli ultimi tre anni (-19% nel 2011, -42% nel 2012 e -4,3% a novembre 2013) così come le erogazioni (scese del 50% nel 2012 e di un ulteriore 15% nei primi nove mesi del 2013). Nel frattempo l’importo medio richiesto è passato da 137mila euro a 127mila. In questo scenario il merito creditizio degli italiani è peggiorato ed è quindi fisiologico che gli spread applicati siano più alti di quelli di tre anni fa quando i “rating dei cittadini” erano migliori.
Termometro reale della crisi
Insomma, lo spread sui mutui segue logiche diverse rispetto a quelle del “fratello” del mercato dei titoli di Stato (anche se va detto che nell’autunno 2011 molti istituti alzarono repentinamente gli spread sui mutui indicando tra le concause proprio l’impennata delle tensioni finanziarie). «Oggi il rischio di credito rimane molto elevato e quindi non c’è nessuna banca che sta scommettendo su una ripresa immediata dell’economia, intendendo per questa un miglioramento delle capacità reddituali e creditizie dei cittadini. Nel momento in cui ci saranno segnali di merito creditizio superiore da parte dei richiedenti le banche cominceranno a fare credito con una logica meno restrittiva – spiega Stefano Rossini, presidente di MutuiSupermarket.it -. Bisogna considerare che spread sui mutui intorno all’1% vengono praticati in un’economia a regime e in crescita sana. Fino a che questo non accadrà in Italia, sarà difficile rivedere queste percentuali». In questo senso, se lo spread sui bond si è guadagnato a ragione o torto il titolo del “termometro della crisi finanziaria”, lo spread sui mutui potrebbe candidarsi agevolamente come “termometro della crisi reale”. Quando lo ritroveremo all’1%, allora vorrà dire che l’economia (intesa come domanda interna) sarà tornata a girare a pieni giri. A quel punto i cittadini staranno già meglio.