SGOMBERATO EX STABILIMENTO FS OCCUPATO DA PIU' DI 200 RIFUGIATI
Mercoledì 25 giugno all’alba più di 200 migranti che occupavano l’ex stabilimento FS di piazzale Lodi vengono sgomberati, una vera e propria operazione di "pulizia" che viene invece mascherata da operazione "umanitaria". Dopo il censimento le famiglie e le comunità (eritrea, etiope e sudenese) vengono divise e smistate nei vari centri di accoglienza della città: sicuramente non può essere una soluzione di vita stabile e duratura. Inoltre un’ottantina di loro sono invitati ad "arrangiarsi" per qualche notte in attesa di una risposta da parte del Comune. Giovedì 26, l’incontro con i rappresentanti del Comune all’ufficio stranieri.
da Repubblica.it del 26 giugno 2008
Il comune dà un tetto ai rifugiati, ma settanta restano per strada
Il Comune ne ospita più di metà, altri bivaccano in strada. Alcuni si sono accampati in piazzale Lodi.
Moioli: aiuti a chi ha reale bisogno.
Due settimane fa ne erano stati censiti 168 Ieri 47 mancavano all’appello
Uomini fuggiti dalla guerra che trascinano valigie di fortuna per le strade di Milano, dopo che le ruspe hanno abbattuto gli edifici disumani in cui dormivano. Cittadini eritrei, sudanesi e ivoriani accampati fino a sera in piazzale Lodi e costretti a vagare per la città. Il Comune ha deciso di sgomberare i due capannoni dell’ex scalo ferroviario di Porta Romana, occupato da centinaia di profughi con regolare permesso di soggiorno per cause politiche e umanitarie. Per 141 di loro, già censiti il 13 scorso dai vigili, è stata trovata una sistemazione nei centri del Comune: staranno lì sei mesi, il tempo fissato dalla legge. I 25 che già avevano goduto dei sei mesi accoglienza sono stati portati al dormitorio di viale Ortles, ma 17 hanno rifiutato: sarebbero potuti stare lì gratis un mese, poi avrebbero dovuto pagare 1.50 euro a notte, hanno preferito la strada. Poi ci sono gli altri, quei 75 che non figuravano nel censimento. Per loro non c’è posto, è iniziata la diaspora: dall’incubo di vivere in centinaia in due stanzoni fetidi di dieci metri per cinquanta, a quello di non sapere dove andare. Alcuni hanno passato la notte al circolo Arci Bellezza, altri accasciati in stazione Centrale, la maggioranza è alla ricerca di un’altra casa da occupare.
«Faremo di tutto per ospitare anche loro - assicura l’assessore alle Politiche sociali del Comune Mariolina Moioli - ma l’impressione è che molti di questi rifugiati siano comparsi per la prima volta, che non abbiano mai abitato allo scalo di Porta Romana e che siano venuti a Milano di recente sapendo dello sgombero solo per essere ricollocati». Questa mattina dovranno presentarsi in via Barbarino 8 all’ufficio stranieri del Comune: chi risulterà avere già goduto dei sei mesi di ospitalità presso strutture pubbliche non avrà il letto garantito.
Lo sgombero di Porta Romana, che ha impegnato dalle 5 del mattino al primo pomeriggio 50 uomini fra vigili, polizia e carabinieri, scatena le polemiche dell’opposizione. Per Luciano Muhlbauer, consigliere regionale di Rifondazione comunista, «si tratta solo di marketing politico». Alcuni dei profughi censiti il 13 giugno erano infatti già passati dalle strutture di accoglienza del Comune, per poi finire nel capannone senza servizi di Porta Romana, a dormire sui cartoni. Per Andrea Fanzago, consigliere Pd a Palazzo Marino, «è stato un intervento improvvisato, programmato da tempo dalla questura ma gestito con troppa fretta dal Comune. Lo dimostrano i settanta rifugiati a cui non è stato trovato alloggio». Polemiche infondate, secondo il vicesindaco Riccardo De Corato: «L’intervento segna la fine di una situazione di degrado e insicurezza, in linea con la politica di legalità e accoglienza che stiamo portando avanti sul fronte dell’immigrazione».
Quanto alla decisione di ospitare per una notte parte dei «rifiutati», di chi non ha diritto all’accoglienza, il presidente di Arci Emanuele Patti precisa: «È una soluzione temporanea, in attesa che si trovi anche per loro una vera sistemazione».
Nel giorno in cui hanno perso quella che consideravano una casa, i settantacinque rifugiati che nessuno vuole hanno facce disperate, di chi ha perso quel poco che aveva. «Il Comune deve darci una casa - si dispera Kaled Algaseen, 39 anni, sudanese - siamo tutti rifugiati, non delinquenti». L’avvocato Gaia Scovazzi, che ne assiste una sessantina, dice: «Già a novembre la comunità aveva presentato un esposto in procura per denunciare le condizioni igieniche allucinanti in cui viveva. Ho parlato con i rifugiati a cui non è stata data una sistemazione, se non si troverà una soluzione intendono procedere per vie legali contro il Comune».
di Franco Vanni