STATI UNITI. MUTUI SUBPRIME: CRESCONO GLI SFRATTI
I pignoramenti in aprile sono cresciuti del 65%. Le banche Usa ridiventano padrone degli immobili in parte già pagati. Ma JpMorgan licenzia
da il Manifesto 15 maggio
di Maurizio Galvani
Aprile nero per numero di pignoramenti eseguiti negli Stati uniti: sono cresciuti del 65% rispetto all'aprile del 2007. E' la conseguenza dei maggiori oneri legati ai mutui a tasso variabile che le famiglie non riescono più ad affrontare. La società specializzata RealtyTrac ha segnalato che «sono circa 243.300 le proprietà immobiliari già sotto procedura per un pignoramento tanto che, oramai, è previsto che gli istituti di credito, da qui a breve (forse a dicembre), si riprenderanno ben 60mila abitazioni ogni mese». E' solo ultima faccia più brutale della situazione di crisi scattata con lo scoppio della bolla dei mutui subprime. Crisi che, tra le tante altre cose, ha fatto scendere il prezzo delle case del 7,7% nel primo trimestre di quest'anno. Il maggiore calo da 29 anni a questa parte.
La crisi si sta traducendo, naturalmente, in pesanti perdite e sotto la lente di osservazione finiscono patrimoni insospettabili come quello di una delle due agenzie del governo che operano nel settore immobiliare. La Freddie Mac deve conteggiare, ad esempio, un passivo nei primi tre mesi dell'anno di 151 milioni di dollari. Ovvero, 65 centesimi di dollaro ad azione che si assomma al più pesante rosso (pari a 2,19 miliardi di dollari) annunciato pochi giorni fa dall'altro colosso «statale», la Fannie Mae. Se dal «pubblico» si passa al privato, la situazione non cambia di molto.
La banca d'affari JpMorgan - che alcune settimane fa aveva rilevato la Bear Stearns, un'altra banca Usa, salvandola dalla bancarotta con il contributo dato dalla Federal reserve - ha dichiarato che sta preparando un taglio occupazionale di 4 mila posti di lavoro. «A causa della crisi del settore del credito come pure della fusione tra due istituti che ha portato - secondo la JpMorgan - ad un aumento dei dipendenti, in particolare dopo l'accorpamento delle maestranze della Bear Stearns».
La situazione occupazionale si è aggravata dopo il crollo del settore immobiliare pur in presenza di una certa ripresa della richiesta dei mutui (nella settimana sono stati richiesti il 2,9% in più) come pure di una maggiore ri-disponibilità al rifinanziamento (un più 6,5%). Recentemente l'ufficio di statistica del lavoro statunitense ovvero the Bureau of Labour Statistics (Bls) ha rivelato che «a partire dal mese di novembre fino a tutto aprile c'è stata un inversione del numero degli occupati a tutto vantaggio delle donne». Stando al settimanale Usa BusinessWeek si scopre che - per colpa della recessione - «i posti di lavoro femminili sono aumentati di 300 mila unità mentre quelli per il sesso maschile sono diminuiti di 700 mila unità». Soprattutto per la contrazione delle attività nel settore delle costruzioni e di quello della manifattura. «Più donne e, particolarmente più richiesta di lavoro per insegnanti ed operatrici sanitarie», sostiene BusinessWeek. Allo stesso tempo, tuttavia, redditi complessivi che, comunque, non «reggono» l'impatto della crisi.
Gli Usa presentano un'economia in questo momento a diverse facce: ad aprile, l'inflazione è cresciuta solamente dello 0,2%, meno dell'atteso 0,3% ella vigilia. Questo aumento scorporato dai prezzi per l'energia e per gli alimentari, fa sì che il costo della vita salga dello 0,1%. Contemporaneamente, i prezzi dell'energia salgono a marzo dell'1,9% e quello della benzina decrescono del 2%. Viceversa - invece - su base annua si è verificato che i prezzi dell'energia sono balzati del 15,9% e il costo della vita negli Stati uniti è pari ad un più 3,9%; i prezzi «core» (ovvero escluso il calcolo dei prodotti alimentari ed energetici) sono aumentati di un +2,3%.