Via Marsala, una casa per i rifugiati
(red.) Un rifugio per i rifugiati.
La nuova occupazione, la terza in città da parte di Associazione Diritti per Tutti e Comitato provinciale antisfratti, è destinata ai rifugati dell’Emergenza Nord Africa, arrivati a Brescia nel 2011. Ad una ventina dei circa 300 che vennero smistati nei diversi comuni del bresciano, è destinato l’immobile al numero 40 di via Marsala, occupato attorno alle 11 di venerdì 15 novembre. Il corteo dei giovani di Magazzino 47 e Kollettivo studenti in lotta era partito alle 9 da corso Garibaldi, insieme a quello dei sindacati, nel giorno della manifestazione unitaria nazionale. Hanno poi seguito un percorso alternativo, fino ad arrivare al Carmine.
Pamela Marelli, portavoce di Associazione e Comitato, ha ricostruito brevemente la vicenda: «I profughi di via Marsala sono una parte delle circa 300 persone arrivate nel 2011 da Lampedusa e smistate dalla Prefettura. La loro accoglienza, organizzata negli Sprar, Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, e basata sul coinvolgimento di enti locali, cooperative del terzo settore e strutture private, aveva da subito dimostrato grossi limiti nell’efficacia dei servizi di inserimento avviati. Si era inoltre rivelata in molti casi poco trasparente riguardo all’uso effettivo dei soldi pubblici stanzianti, che solo in minima parte sono andati direttamente ai profughi».
Il sospetto è che l’Emergenza Nord Africa sia stata un business soprattutto per i gestori privati coinvolti. Nel frattempo, con il rilascio di permessi di soggiorno come rifugiati, anche lo Stato ha riconosciuto che i profughi avevano dovuto lasciare i Paesi di provenienza per situazioni di pericolo gravi e conclamate. L’Emergenza è stata chiusa a febbraio 2013. Da allora, una dozzina di persone considerate vulnerabili, è ancora a carico di istituzioni e servizi, mentre gli altri hanno ricevuto una buona uscita di 500 euro. Da marzo, molti dormono nei treni o dove capita. Inoltre, la maggior parte deve rinnovare il permesso di soggiorno, ma rischia di non poterlo fare perché il costo di 75 euro sarebbe insostenibile, e perché serve una residenza o la dichiarazione di ospitalità.
«Abbiamo occupato lo stabile», conclude Pamela, «per dare una risposta concreta all’esigenza primaria di avere un posto dove dormire un tetto per ripararsi. Non bastano le lacrime e i fiumi di parole retoriche che i governanti hanno fatto scorrere davanti alle telecamere subito dopo l’ennesima strage di Lampedusa. Serve invece attivarsi per sostenere e supportare i bisogni e i diritti di chi alle stragi sopravvissuto».